Fin de Partie determina, al gioco degli scacchi, quando si giunge a Scacco Matto. Nel “teatro dell’assurdo” degli anni Cinquanta un dramma di Samuel Beckett – ed una recente opera di Gyorgy Kurtag (la cui prima mondiale a La Scala, l’anno scorso, si è meritata l’ambito “Premio Abbiata”) Fin de Partie vuole dire “fine del gioco”, quale che esso sia. In questo fine settimana, si ha chiara evidenza che la partita del governo del cambiamento si è conclusa e che, per impedire ulteriori danni alla situazione economica, gli italiani debbano andare a contarsi.
LA PARTITA IN GIOCO
Lo indica sia quanto avvenuto ad Osaka sia quanto sta avvenendo a Roma. Da Osaka non si sa nulla sulla posizione espressa dall’Italia in materia dei temi all’ordine del giorno del G20 – commercio internazionale, monete – ma ci sono stati “siparietti” mirati a fare pensare che il presidente del Consiglio ed il ministro dell’Economia e delle Finanze stiano riuscendo ad impedire o, almeno, a ritardare la procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti del nostro Paese a ragione della situazione della nostra finanza pubblica. Argomento non all’ordine del giorno del G20.
Si è utilizzata la tecnica del teatro nipponico. Non dell’aulico Gran Kabuchi. E neanche del misterioso e filosofico Teatro Ño, ma del Teatro delle Ombre. Gli uffici della comunicazione di Palazzo Chigi e di Via Venti Settembre hanno propinato brevi scene di sorrisi, strette di mano e pure abbracci come se si trattasse di brani relativi alla trattativa sulla “procedura” e non meri atti di cortesia e convenevoli. Nel sottofondo, si dava ad intendere che “squadra che vince non si cambia”; di conseguenza, una volta avviata, nella calda Osaka, così bene la trattativa per evitare la procedura sarebbe un errore mandare “i nostri eroi in panchina”.
UN ESECUTIVO AL CAPOLINEA?
A Roma, nei cineclub estivi e non solo, si proiettava il primo capolavoro di Alain Resnais Nuit et Brouillard (Notte e Nebbia), diverse ore di grande tensione. Infatti, la politica economica a tutti i livelli – finanza pubblica, tributi, industria, infrastrutture, occupazione, e via discorrendo – è avvolta nella più fitta notte e nebbia mentre tra i due principali protagonisti del governo del cambiamento imperversa la guerra totale su argomenti micro, macro, di politiche di settore e quant’altro. L’elenco è lungo ed è, ogni giorno, sulla stampa quotidiana.
Nel contempo, imprese straniere si guardano bene dal venire in Italia e se già nel nostro Paese fanno sapere che stanno facendo i bagagli, i consumatori percepiscono la deflazione in arrivo e ritardano la spesa (in attesa di una diminuzione dei prezzi), i risparmiatori gonfiano i conti correnti nel timore di balzelli sul risparmio gestito o di dichiarazioni improvvide su aziende quotate, l’Ue ritira finanziamenti alle nostre infrastrutture. E via discorrendo.
Non voglio pensare che, dopo i “siparietti” di Osaka, Conte e Tria si siano autoconvinti di essere indispensabili alla trattava sulla procedura con l’Ue. So che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Quindi, mi viene da pensare che Conte, espresso dal M5S e chiaramente molto vicino a Di Maio, intenda impedire lo scioglimento dell’esecutivo nei tempi che renderebbero possibili elezioni a settembre, elezioni che, secondo i sondaggi, potrebbero essere un duro smacco al M5S. Lo stesso Conte aveva annunciato il 3 giugno che se non ci fosse stato un accordo pieno tra i due azionisti di maggioranza, sarebbe tornato a fare il professore e l’avvocato.
La guerra totale e la paralisi suggeriscono che il governo è giunto al capolinea. Dove scendono tutti. Anche il conducente.