Ci risiamo, sembrerebbe.
A distanza di sette anni torna ad imperare sulle prime pagine dei giornali la questione dei ritardati pagamenti della P.A. e del suo drammatico impatto sul nostro territorio, specie quello sulle nostre piccole imprese. E il governo affina in tal senso le sue richieste all’Europa.
Sembrerebbe che questo governo la stia finalmente valutando, come non fece il Presidente Monti allora, perdendo un’enorme occasione di chiudere all’incasso con la Cancelliera Merkel il suo aver sostituito predecessori poco graditi all’Europa. All’epoca, se avesse insistito, facilmente Monti avrebbe ricevuto – sulla soluzione ai ritardati pagamenti – un OK da un’Europa desiderosa di mostrarsi con la faccia gentile ad un ‘Italia già allora un po’ sospettosa delle imposizioni che provenivano da Bruxelles. Ma Monti non chiese nulla, e nulla ottenemmo, anzi, si avviò senza e senza ma la stagione disgraziata del Fiscal Compact e dell’austerità che a 6 anni di distanza avrebbe portato al governo sovranisti e populisti, unici ad avere avuto perlomeno il merito di intuire la sofferenza di tante persone in Italia.
In effetti, è ancora oggi importante risolvere il problema dei ritardati pagamenti.
Quali sono le conseguenze di questi ritardi? Facile dirlo. Le piccole imprese che vendono alla PA devono trovarsi finanziamenti per sostenere i costi della produzione a fronte dei ritardi. Ma non è facile per esse trovarlo o trovarlo a condizioni competitive. Risultato? Perdono le gare d’appalto o non partecipano proprio, con un primo danno per la stessa PA che acquista a prezzi maggiori a causa della minore concorrenza nelle gare. E le imprese più grandi, direte, che cedono il credito e così si finanziano a tassi più competitivi delle piccole a causa del loro status più credibile? Beh, naturalmente scaricano il costo del credito sul prezzo in gara, e quindi la PA finisce di nuovo per pagare di più rispetto al caso in cui pagasse ad 1 mese.
A coloro che sostengono che il problema è in via di estinzione, citando dati dei tempi medi di pagamento in costante diminuzione, va ricordato come tali tempistiche sono falsate dal “ricatto” amministrativo delle pubbliche amministrazioni senza liquidità che alle imprese impongono di “fatturare solo quando te lo dico io”, altrimenti poi non “lavori più con me”.
Insomma la PA paga di più ed il settore privato delle piccole imprese viene decimato, tante vittime che non vediamo nemmeno perché non esistono più su quel mercato. Come si potrebbe eliminare questo stato delle cose? Semplice. Basterebbe che questo debito delle P.A. detto commerciale, si trasformasse in debito pubblico ai sensi del Trattato. Come? Lo Stato si finanzi nelle sue aste per 60 miliardi in più, emettendo ad esempio i tradizionali BOT. Usi questi 60 miliardi di liquidità per pagare le imprese creditrici, che riceveranno l’ossigeno essenziale di cui necessitano anche perché spesso poche banche sembrano vogliose di estender loro il credito.
Vi è sempre stato tuttavia un nodo da sciogliere, la presunzione che questo aumento di debito pubblico genererebbe oneri per la finanza pubblica. Falso. Ma siccome questa argomentazione da anni blocca soprattutto le piccole imprese strozzandone le capacità di vendere al settore pubblico, seguiamone la logica. I debiti della PA di cui parlasi sono c.d. “debiti commerciali”, che non vengono per regola contabilizzati da Bruxelles nel debito pubblico. Ammontano a circa 60 miliardi di euro, facciamo il 4% del PIL. Tutti i mercati che prezzano i bond italiani sanno di questo debito, è un segreto di Pulcinella.
Ed ecco che arriva l’intoppo: ma no, non si può fare dice la Ragioneria di Stato, perché poi il debito pubblico cresce del 4% del PIL, come lo spieghiamo a Bruxelles? Spero vediate la logica perversa: tutti sanno che questo debito esiste, tutti i mercati lo hanno già incorporato nella loro valutazione del rischio della Repubblica italiana, nulla cambierebbero nel farlo salire “sopra la linea” contabile, ma noi abbiamo paura di proporlo alla Commissione Europea per timore che ci… sgridi e dunque preferiamo … distruggere il tessuto industriale ed aumentare il costo delle commesse pubbliche. Wow, Tafazzi è nulla rispetto a questa logica.
Mi direte: ma come si fa a superare il no della Commissione Europea? Semplice. Con una leadership che ottenga il via libera dall’Europa a questo piccolo aumento contabile ma non di sostanza del debito pubblico. Un po’ di muscoli e tanto buon senso. Portando a casa una grande riforma non a costo zero, ma a ricavo positivo, a portata di mano. Portarla a casa sarebbe dare un segnale di volontà politica sulle questioni serie che bloccano lo sviluppo del nostro Paese che, questa sì, ridurrebbe gli spread, altro che alzarli come teme la nostra RGS.
Ma questo governo non è interessato ad ingaggiare una battaglia di sostanza con Bruxelles, anche perché sa che, per i suoi trascorsi, il rischio non è piccolo di perderla. Molto meglio rinunciare all’interesse vero delle PMI, la loro sopravvivenza, e propugnare piuttosto qualcosa di apparentemente simile che si sa già l’Europa non accetterà mai, ma che consente ai leader attuali di mostrarsi apparentemente a favore delle PMI e al contempo corteggiatori della base no-euro del proprio elettorato.
Eh già, perché i mini-Bot (che non sono BOT!) sono assolutamente, per come sono stati proposti, una valuta parallela all’euro, e quindi vietata dai Trattati europei stessi. Che, se mai dovessero vedere la nascita, farebbe male a tutte le imprese, piccole e grandi, per l’aumento improvviso e drammatico a cui assisteremmo dello spread, dovuto al panico dei mercati su di una possibile uscita dell’Italia dall’euro, resa ancora più probabile appunto dall’aumento degli spread in una sorta di profezia auto-avverantesi.
Ma che questo governo non avesse interesse alle PMI come tutti i precedenti lo sapevamo già. Lo Statuto delle imprese approvato nel 2011 obbliga il Ministro dello Sviluppo in carica a proporre entro ogni 30 giugno il disegno di legge annuale per le PMI dove sono contenute tutte le misure organiche che il Governo stesso vorrà adottare durante l’anno per alleviare le loro sofferenze e renderle più competitive. Di Maio, come Calenda, Zanonato, Guidi e Passera prima di lui, non ha mosso un dito al riguardo. Né risulta che la Lega si sia mobilitata.
Nel finale di questa storia gattopardesca non ci saranno i mini-Bot, per fortuna, ma non ci saranno nemmeno i Bot per le PMI. Un’altra occasione passerà, assieme al rumore di governi del non cambiamento che da anni condannano l’Italia ad essere fanalino di coda di un’Europa tanto miope quanto indifferente alle sorti della sua Unione.