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Putin in Vaticano, tutti i dossier aperti con Papa Francesco

Quattro luglio: Vladimir Putin sarà ricevuto in Vaticano. Cinque e sei luglio: nei palazzi apostolici arriveranno i vescovi e i metropoliti greco cattolici ucraini. Forse già il calendario può aiutarci a capire l’agenda del colloquio tra Francesco e il presidente russo. Ma per il ruolo che oggettivamente il presidente russo ha assunto nel panorama politico internazionale e per quello che altrettanto oggettivamente il vescovo di Roma ha in un contesto globale così incerto, allarmante e nel quale misericordia e dialogo, i cardini del suo magistero, appaiono i veri, possibili rimedi a tante ferite e angosce dell’uomo contemporaneo, l’agenda dell’incontro potrebbe però comprendere altro, in particolare sulle prospettive europee di cui Francesco ha parlato di recente in alcuni paesi dell’Europa orientale e che a Mosca molti chiamano Eurasia.

LA QUESTIONE UCRAINA 

Difficile dubitare però che la questione ucraina avrà il suo peso, e che attorno ad essa Francesco e Vladimir Putin si confronteranno. Dal futuro che si determinerà a Kiev, dove è arrivato da poco un presidente tutto nuovo, può dipendere tanto del futuro europeo. La questione dei rapporti di Mosca con il suo vicino occidentale non si limita alle pur rilevantissime questioni della Crimea e del Donbass, o all’idea putininana di un rapporto diciamo speciale tra Russia e gli ex Stati sovietici, affonda piuttosto nel senso di sé russo, essendo Kiev percepita come un un ventricolo del proprio muscolo cardiaco, cioè del cuore russo. E recentemente il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la sede per eccellenza dell’ecumene ortodossa, ha riconosciuto alla Chiesa in Ucraina il diritto ad essere autocefala, cioè autonoma, e quindi autonoma dal patriarcato di Mosca, di cui era parte.

È la storia a dirlo, il peso delle enormi sofferenze patite dagli ucraini ai tempi di Stalin, della sua guerra fisica a milioni di coltivatori ucraini, sterminati per fame. Ma è anche la logica dei numeri a dirlo: un popolo di milioni di persone come quello ucraino può non avere una Chiesa nazionale e rimanere nel ( o del?) patriarcato di Mosca?

LA RISPOSTA DI MOSCA

Dopo lunga riflessione nello storico palazzo patriarcale del Fanar, da secoli simbolo del cristianesimo orientale, la risposta del patriarca ecumenico Bartolomeo non poteva che portare al riconoscimento di Kiev. E da Mosca è arrivata la risposta più dura: interruzione dei rapporti, che vuol dire anche proibizione di partecipazione ai riti per i propri fedeli. Da quando lo strappo si è consumato molti hanno osservato con attenzione le mosse del vasto mondo ortodosso: ma sin qui nessun patriarcato ha deciso di sposare la scelta di Mosca. Non ci sono stati riconoscimenti della nuova Chiesa in Ucraina, ma neanche disconoscimenti. E siccome si dice che chi tace acconsente l’impressione di una difficoltà moscovita è legittima. Ecco allora che per capire più che l’agenda lo stato d’animo dell’ospite russo conviene osservare quanto accade attorno a questa disputa, essenziale per Mosca.

Il richiamo da parte di uno dei patriarcati ortodossi più importanti, quello di Antiochia, di un proprio vescovo che ha biasimato Costantinopoli sembra dire che la corazzata moscovita non possa dirsi sicura che il suo approccio muscolare sovrasterà il nemico. E se fosse vero che l’arcivescovo di Atene, Geronimo II, nelle prossime ore, in occasione dell’onomastico di Bartolomeo, si recherà proprio dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, rinnovandogli dunque affetto e stima, non sarebbe il segnale che la sua Chiesa autocefala sull’Ucraina è più vicina al Fanar che a Mosca? Forse Mosca ha sottovalutato il peso che la memoria del passato sovietico ha per tanti paesi che hanno gravitato nell’orbita moscovita, e così le voci di dissapori anche trai bulgari su questa delicatissima disputa, portata quasi a livelli di scisma da Mosca, avranno allarmato il Cremlino.

L’IMPEGNO DEL PAPA

Da parte sua Papa Francesco è sempre stato molto attento a non immischiarsi nelle questioni di altre Chiese, con rispetto e amicizia. I suoi viaggi recenti, che si sono svolti proprio in terre ortodosse come la Macedonia, la Bulgaria e la Romania, hanno certo avuto un tratto ecumenico, di vicinanza e fratellanza ecclesiale, ma sono apparsi soprattutto dei viaggi europei. In buona sostanza il suo messaggio è stato molto semplice: non solo che Roma non è più una minaccia, un nemico annessionista, ma che l’Europa può respirare solo con due polmoni, quello orientale e quello occidentale, e che la fratellanza tra loro è sinonimo di pace europea. Per tornare “Europa madre” e non più “ Europa nonna”, l’Europa ha bisogno di Chiese giovani, materne, affettuose, non di nonne legate a vecchi dissapori o timori. Francesco sa bene che la solidarietà con il prossimo è la chiave del proprio stesso benessere.

Questa Europa impaurita dai migranti non considera che la prospettiva di dimezzamento della propria popolazione attiva implica la prospettiva di perdere il proprio standard e tenore di vita, proprio quello che si vorrebbe difendere impedendo l’arrivo di quei migranti che ad oggi appaiono la sola via di salvezza da questo destino. Ma è la ripresa di fiducia nella vita, tornando ad essere Europa madre e non Europa nonna, la vera alternativa al declino. Per riuscirci, sapere di essere in un contesto solidale, affettuoso, capace di mutuo soccorso, aiuterebbe il coraggio. I suoi viaggi nell’Est che si spopola, tra figli che non nascono, lavoratori che partono e migranti che non si lasciano entrare, ha toccato il problema del futuro comune.

Difficile pensare che i vescovi cattolici ucraini, chiamati a riunirsi in Vaticano con Francesco proprio nei giorni successivi all’udienza accordata al presidente russo, useranno toni diversi, sebbene sia chiaro che la loro questione nazionale li veda più distanti da Mosca per ovvi motivi. Dunque lo sforzo di superare gli strappi avrà nei primi giorni di luglio un momento di verifica importante. Mosca oggi sa che Francesco è un Papa che radica il suo pontificato nel dialogo e nella misericordia, gli scricchiolii che l’approccio muscolare registra nel campo dei suoi stessi amici sono lì a indicarne l’importanza.

L’idea di riportare indietro le lancette della storia non aiuterebbe la dialogica visione misericordiosa o fraterna di Bergoglio. Sarebbe sbagliato pertanto pensare che il presidente russo possa giungere a Roma puntando a incrinare la ben nota amicizia tra Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, e non solo perché la storia ne sta dimostrando la capacità e la visione davanti a chi pensava di metterlo all’angolo solo con i muscoli, ma perché abita soprattutto in lui e nel suo patriarcato quella capacità di fare del mondo ortodosso non un custode di vecchie paure e ferite ma un fattore di visione e governo delle nuove sfide, epocali. Non è stato il Fanar a vedere per primo, in Europa, la questione ambientale?

E IL MEDIO ORIENTE?

È difficile dire se Putin vorrà tentare di sottolineare in Vaticano, e magari con Francesco, il ruolo acquisito nel Medio Oriente. Da quando ha riaperto gli uffici della Società Imperiale Russa a Gerusalemme il presidente russo non fa mistero di voler essere il protettore dei cristiani in quel mondo. Il tentativo può apparire plausibile, ma Francesco ha firmato da poco un documento sulla Fratellanza insieme all’imam di al-Azhar. Quel documento parla di cittadinanza comune, non di protezioni. Mosca ha un ruolo e un peso, innegabili, in tante scelte e anche in tante battaglie, attraverso il prisma dell’emergenza umanitaria che le accompagna da anni alcune potrebbero essere evocate. La Siria allarma molto in Vaticano e Francesco già si spese per facilitare l’intesa russo-americana sul disarmo chimico della Siria. Ma la sua attuazione è stata troppo lacunosa e parziale, visto il frequente uso di armi chimiche negli anni successivi all’intesa, deludendo probabilmente le speranze di Roma.

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