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Geopolitica di un’arma. Gli S-400 tra Usa, Russia, Turchia e Iran

Il sistema missilistico anti-aereo russo S-400 sta diventando un interessante elemento per comprendere come diversi paesi muovono i propri interessi geopolitici. Composto da una batteria lanciante trasportata da un camion con annessa un sofisticato apparato di intercettazione radar in grado di ingaggiare fino a 36 obiettivi simultaneamente. È considerato il più tecnologico armamento in mano a Mosca, e per questa ragione è un oggetto che interessa diversi potenziali clienti.

LA CONCORRENZA COMMERCIALE

Viene prodotto dalla governativa MKB “Fakel” ed esportato ovviamente dalla Rosoboronexport: è un diretto concorrente dei sistemi Patriot dell’americana Raytheon e già questo è importante. Per una Cassa Bianca come quella di Donald Trump le questioni commerciali hanno lo stesso valore, se non superiore, di quelle strategiche. Preferire ai Patriot gli S-400 significa scegliere di non acquistare un prodotto americano, e per una presidenza che fa del riequilibrio dello sbilancio commerciale uno dei suoi obiettivi di politica internazionale (per stare sulla cronaca, vedere il Messico) diventa una questione (geo)politica. È quello che per esempio s’è trovata davanti la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che dalla fine del 2017 – quando il presidente annunciò di aver firmato un accordo preliminare per la fornitura di S-400 – si trova a fronteggiare una serie pesantissime di pressioni americane.

IL CASO TURCO…

Ne giorni scorsi, gli Stati Uniti hanno fatto trapelare che Ankara avesse deciso di rivedere l’acquisto, congelandolo almeno fino all’incontro al G20 giapponese tra Trump ed Erdogan. L’appuntamento, ufficializzato dopo la diffusione del readout di una conversazione telefonica tra i due leader, sarebbe fissato per Osaka il 28 e 29 giugno, ma in una dichiarazione quasi congiunta sia il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, hanno smentito.

La Turchia avrà i suoi S-400 e saranno messi a protezione della centrale nucleare di Akkuyu, che sarà costruita dalla russa Rosatom (una beffa). Ma il punto non è solo il commercio. Ankara è da anni insoddisfatta dalla poca attenzione che gli americani hanno dedicato alla crisi siriana – e con “poca attenzione” i turchi intendono l’impegno minimo messo dagli Stati Uniti per detronizzare il dittatore Bashar el Assad. Erdogan sperava in Trump, ritenendolo (con errore) un attore più assertivo del suo predecessore Barack Obama. Ma così non è stato, e i turchi si sono irrigiditi ulteriormente – Ankara nel luglio del 2017 è arrivata ad accusare gli Stati Uniti di essere dietro al tentato golpe.

… E IL BANCO DI PROVA SIRIANO

La Siria potrebbe però ancora essere un elemento di trattativa: Trump potrebbe offrire più assistenza – o quanto meno libertà d’azione – alla Turchia sul bubbone appena oltre confine in cambio di un passo indietro sui missili. I turchi detestano i freni messi dagli americani sulla sicurezza dei curdi siriani che sono alleati statunitensi (perché insieme hanno combattuto il Califfato) ma nemici esistenziali per Ankara. I curdi siriani hanno le fazioni armate alleate ai cugini turchi, e qualsiasi concessione in cambio dell’impegno contro il Califfo è vista da Ankara come un pericoloso precedente su cui potrebbero far leva le istanze casalinghe. Erdogan vorrebbe far piazza pulita dei curdi siriani, magari liberando il territorio per un controllo condiviso con il governo siriano – con garanzie russe – a tutela di alcuni gruppi ribelli che attualmente sono rifugiati a Idlib (sotto le bombe governative). Washington finora s’è opposta.

LA PARTNERSHIP CON LA RUSSIA (E IRAN)

È una situazione molto complessa che ha portato Ankara a inserirsi nel cosiddetto processo di Astana – l’alternativa negoziale alle mediazioni Onu che i russi hanno costruito per la Siria – con la speranza di essere più ascoltata da Mosca. Niente è gratis, però. I russi hanno richiesto (e in parte ricevuto) in cambio lo spostamento dell’asse turco su vari dossier e l’acquisto degli S-400 diventa un elemento nevralgico. La Nato, di cui la Turchia è membro e secondo esercito in ordine numerico, ha già messo in guardia sui rischi tecnici, perché l’alleanza è basata anche sulla capacità d‘integrazione dei sistemi d’arma dei membri. Le intelligence americane invece sottolineano il rischio che i radar degli S-400 possano carpire informazioni importanti sugli F-35. I nuovi caccia super-tecnologici della Lockheed Martin sono parte in causa tra Turchia e Stati Uniti: Washington minaccia di far fuori Ankara della fornitura del più efficiente sistema da battaglia attualmente i circolazione se i turchi non rinunceranno agli S-400.

L’IRAN E GLI S-400

Il sistema missilistico russo è al centro anche di un altro caso che riguarda l’Iran. Tre giorni fa la Bloomberg ha pubblicato una notizia secondo cui Mosca avrebbe deciso di sospendere le trattative per la vendita degli S-400 a Teheran. Motivo: le recenti tensioni in Medio Oriente. Ossia, i russi accettavano le pressioni di Israele, Stati Uniti e paesi del Golfo, che condividono una posizione molto aggressiva nei riguardi dell’Iran e che credono che la Repubblica islamica abbia aumentato il livello della propria minaccia, intenzionata a compiere nel breve futuro qualche attacco contro gli interessi statunitensi (e degli alleati Usa) nella regione. E così Mosca accettava di non rafforzare gli ayatollah e sembrava preferire (a ragion veduta) quell’allineamento di potere al partner con cui aveva condiviso nervosamente il fronte siriano e la proiezione mediorientale e mediterranea collegate. A stretto giro Sputnik — un media internazionale che è collegato al Cremlino — ha smentito tutta la costruzione della Bloomberg  attraverso “fonti proprie”, e dunque voci dirette del governo russo. Però attenzione: sostenendo che non sono in corso colloqui tra Russia e Iran per la vendita perché non c’è mai stata richiesta.

L’UNICO CLIENTE

Qual è l’unico cliente che finora i russi hanno soddisfatto con gli S-400? La Cina, che a fine 2017 ha ricevuto parte dei sei battaglioni acquistati nel 2014. Lo scivolamento russo verso il Dragone è l’elemento centrale della (geo)politica internazionale dei prossimi anni.


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