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Salvini ha un obiettivo: Italia primo partner degli Usa. Tutte le affinità con Trump

Il vicepremier italiano Matteo Salvini è a Washington, dove seguirà un’agenda serrata di appuntamenti che partiranno dalla mattina presto di oggi, quando alle 9,00 (ora locale) è atteso al dipartimento di Stato per incontrare il segretario Mike Pompeo. Successivamente si sposterà all’ambasciata americana per vedere Grover Norquist, il presidente degli Americans for Tax Reform (lobby anti-tasse fondata da Ronald Reagan), e successivamente, appena dopo un lunch con l’ambasciatore Armando Varricchio, si sposterà per la Casa Bianca, dove è atteso dal vicepresidente Mike Pence. “Stringerà la mano a Donald Trump?” – chiede una giornalista al punto stampa concesso ieri sera a Villa Firenze, prima tappa dopo il check in. “Una cosa alla volta, sono vice e incontro il vice”, risponde Salvini sorridente. In serata previsto il rientro in Italia.

Il leader della Lega davanti ai giornalisti presenti nella residenza diplomatica italiana, centro di primo piano per il potere washingtonians, ha risposto serenamente a una serie di domande che hanno toccato esattamente i punti che le anticipazioni davano al centro degli incontri. “L’Italia vuole tornare a esser il primo partner, il partner più importante nel continente europeo, per la più grande democrazia occidentale, e non solo per interessi economici e commerciali, ma anche per una comune visione del mondo, dei valori, del lavoro, della famiglia, della società, dei diritti. Mentre altri paesi europei hanno scelto altre vie, noi ci siamo e lo ribadirò con forza”.

Secondo Salvini, i temi in comune con la Casa Bianca e l’amministrazione Trump riguardano sì la lotta all’immigrazione e al terrorismo (“islamico”, ci tiene a sottolineare ed è un messaggio, perché la sua componente politica accusa spesso i media quando non usano l’aggettivo per ragioni di politically correct. Ndr), però “c’è soprattutto è il tema fiscale” – non a caso l’incontro con Norquist è stato sottolineato da Lorenzo Montanari, il direttore dei programmi internazionali dell’Americans for Tax Reform, in un’intervista curata su queste colonne da Francesco Bechis. “Il taglio delle tasse come rilancio dell’economia, la difesa e la protezione dell’industria nazionale, è qualcosa che vorrei che il governo italiano applicasse fin dalla prossima manovra economica perché i risultati [ottenuti] stanno dando ragione a Trump”, dice Salvini – Trump ha abbassato le tassazioni con una riforma che è stata uno dei primi obiettivi raggiunti dalla sua amministrazione.

Negli incontri si ragionerà dei problemi che sta avendo l’Unione europeo e delle soluzioni che l’Italia può proporre: dice Salvini, che ricorda che il suo rapido viaggio servirà a “rafforzare la presenza italiana” (con riferimento sulle questioni commerciali in corso tra Usa e Ue) e a “far chiarezza su alcuni dossier”. E cita “l’investimento in ricerca e in difesa”: “E fondamentale – dice – per l’Italia e non ci può essere un governo che rallenta o addirittura indietreggia su accordi presi, perché se vogliamo competere a livello mondiale la ricerca e la tecnologia in strumenti di difesa è fondamentale per non dipendere da altri”.

Ci sono anche quelle che il ministro dell’Interno italiano chiama “scelte geopolitiche” citando temi come il Venezuela – su cui l’Italia non ha spostato il suo peso diplomatico al fianco del tentativo di rovesciamento del regime, come invece Washington avrebbe voluto – oppure la Libia. Roma aveva ricevuto, ai tempi dell’incontro tra il premier Giuseppe Conte e Trump la scorsa estate, una sorta di mandato da supervisore per la gestione del dossier, ma la crisi rischia di sfuggire dal controllo e non solo italiano. E ancora l’Iran, il Medio Oriente, “la difesa sempre e comunque del diritto a esistere di Israele, che non può essere messa in discussione né dall’Onu né da chiunque altro”, questioni su cui, dice Salvini, “abbiamo le idee ben chiare”; che in una lettura da Washington sembra significare allineate con gli Stati Uniti.

Alla domanda specifica sulla crisi nel Golfo collegata alla postura aggressiva americana contro l’Iran e alla reazione di Teheran, Salvini ha risposto che è “assolutamente” allineato sulla posizione americana, e anzi ha rivendicato come l’Italia abbia “già da tempo allentato le sue relazioni economiche [con l’Iran], a differenza di altri paesi europei, penso a Francia e Germania, perché continuo a ribadire che un paese che nel 2019 vuole cancellare dalla faccia della terra un altro paese come Israele non ha diritto di parola”. “Spero che non soffino venti di guerra, ma questo anche Trump l’ha già ribadito, ma non può esserci nessuna disattenzione nei confronti dell’Iran”.

Altro tema su cui Salvini è passato riguarda la Cina: il vicepremier prima ha usato le penetrazioni cinesi in Grecia come proxy per attaccare Bruxelles, che è stata troppo dura con Atene e l’ha fatta slittare su Pechino, e poi ha parlato dei messaggi ambigui arrivati a Washington sui rapporti tra Roma e il Dragone dopo l’adesione alla Belt & Road. “Il business muove tutto, ma potrebbero esserci benefici a breve termine che poi diventano una gabbia a lungo termine. L’ho detto subito da ministro dell’Interno, se c’è di mezzo la sicurezza nazionale non si transige”. Aggiunge: “Anche in questo caso ha ragione Trump: siamo stati uno dei pochi governi europei che non ha gridato al lupo al lupo quando ha vinto Trump, e penso che questo sarà ricordato a dovere”.

Dalla Cina alla Russia, altro tema caldo, perché la Lega ha un accordo politico con Russia Unita (il partito di Vladimir Putin) che non piace molto agli apparati politici e di sicurezza nazionale americani, ma anche qui il vicepremier italiano trova la via di uscita trumpiana dal labirinto. “Sarebbe un errore strategico non solo commerciale, ma geopolitico, allontanare la Russia dall’Occidente e dai valori occidentali per lasciarla tra le braccia della potenza cinese. E credo che si debba fare di tutto per tornare al tavolo […] preferisco ragionare con Mosca piuttosto che rinsaldare l’asse tra Mosca e Pechino”. È esattamente quello che Trump – e la dottrina strategica a cui accede – vorrebbe fare con Putin.

 

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