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Ian Bremmer a Formiche.net. Gli Usa di Trump non salveranno Salvini dalle grinfie della Ue

L’intesa politica c’è, la simpatia personale pure. Si fermano qui le convergenze fra Matteo Salvini e Donald Trump. In visita a Washington DC, il vicepremier italiano è stato accolto da due pezzi da 90 dell’amministrazione Usa: il segretario di Stato Mike Pompeo e il vice-presidente Mike Pence. Succede a tutti? No, dice Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group e analista geopolitico, “è un comitato d’accoglienza solido”. Luigi Di Maio, per dirne una, era stato accolto dal falco alla Sicurezza Nazionale John Bolton, niente più. Salvini ha trovato una carta da giocarsi nello scontro sui conti con Bruxelles? “Per favore, questo è puro fantasy”.

Bremmer, che si dice di Matteo Salvini a Washington DC?

È visto come l’esponente di un gruppo di nazionalisti e populisti in crescita, con una forte influenza nel suo Paese ma non altrettanto peso (almeno per ora) sul palcoscenico globale o europeo. Un limite che si è fatto particolarmente evidente all’indomani delle elezioni europee, dove l’alleanza di Salvini non è riuscita ad attrarre Pis (Polonia), Fidesz (Ungheria) o il Brexit party di Nigel Farage.

Però è anche il vicepremier italiano.

Di più. C’è anche la consapevolezza che Salvini è considerato il prossimo primo ministro italiano e che resterà a lungo in giro.

Mike Pompeo e Mike Pence. Non male come ricevimento.

È un solido comitato di accoglienza. L’amministrazione Trump sa bene come ignorare le persone che non le piacciono. Incontrare sia Pompeo che Pence è tutta un’altra storia.

A Washington Salvini ha parlato di Cina. L’amministrazione Usa è ancora arrabbiata con l’Italia per il famoso memorandum?

È arrabbiata con tutti gli europei, tanto per le porte aperte alla Belt and Road Initiative quanto per altri dossier (Iran, clima, tech, commercio). Questo senso di frustrazione e delusione potrà solo peggiorare in assenza di un accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina.

Salvini ha fatto marcia indietro sul caso cinese.

È già qualcosa. Prendere le distanze dall’adesione del governo italiano è un buon inizio per tenersi stretta Washington. È pur vero che ha fatto poco per prevenire la firma di quel memorandum.

Che dire invece dei rapporti fra Lega salviniana e Russia Unita di Vladimir Putin? Possono incrinare le relazioni bilaterali?

Non credo ci sia il rischio. Dopotutto il recente cambio di postura degli Stati Uniti verso la Russia non proviene tanto da Trump quanto dalla sua amministrazione. A salvare i rapporti bilaterali peraltro rimangono altri temi su cui Trump e Salvini vanno d’accordo: immigrazione, tasse, euroscetticismo, critiche all’architettura filo-tedesca dell’Eurozona.

A proposito di Eurozona, si prospetta un autunno caldissimo a Bruxelles. I gialloverdi possono giocarsi la carta americana?

Possono farlo, ma ha scarse chances di successo. L’Ue è concentrata sul budget e le ripercussioni di un possibile scontro frontale. Credere che il supporto degli Stati Uniti possa aiutare in qualche modo l’Italia in sede negoziale con l’Ue è fantasia. E non è l’unica tesi fantasy che sento in giro.

E le altre quali sarebbero?

C’è chi crede che, nel remoto caso in cui l’Italia volesse tornare a battere moneta, Stati Uniti e Russia sarebbero pronti a supportare la sua scelta. Un’idea ancora più improbabile. La Russia non può permetterselo (la sua economia è più gracile di quella italiana). Gli Stati Uniti potrebbero, almeno in teoria, ma non hanno né i mezzi né la volontà di sborsare centinaia di miliardi per una cosa del genere.

Torniamo all’Eurozona. Davvero a Trump interessano i conti europei in ordine o preferisce vedere l’asse franco-tedesco in frantumi?

L’amministrazione Trump vuole a tutti i costi un’Europa più debole. Questo vuol dire supportare la Brexit e partiti politici come la Lega. Per il momento la possibilità che l’Italia si trasformi in un serio problema per l’economia europea (e, per estensione, mondiale) non sembra disturbare il sonno dell’amministrazione Trump.

Come non sembra disturbare il sonno la questione libica.

È probabile che questo resti motivo di tensioni. Negli ultimi mesi Trump si è avvicinato molto alla posizione di sauditi, emiratini ed egiziani dando il suo endorsement ad Haftar (dunque smentendo la politica ufficiale del governo italiano) e ha parlato pubblicamente bene del feldmaresciallo.

Quindi?

Non bastano queste parole a rovesciare del tutto la posizione ufficiale del governo americano a favore di Sarraj e del processo guidato dalle Nazioni Unite. Non escludo però che nei prossimi mesi la Casa Bianca dia un più convinto supporto ad Haftar.

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