Il ministro degli Interni italiano, il vicepremier Matteo Salvini, dovrebbe volare a breve a Washington, per incontri di carattere istituzionale, ma anche politico, con alti esponenti dell’amministrazione statunitense. Anche dopo il riconoscimento elettorale alle Europee (il 34 per cento), la leadership del leghista passa dal riconoscimento internazionale, e se Bruxelles è un luogo ostile, a maggior ragione Washington diventa la chiave per l’affermazione del leader leghista.
IL PERIMETRO
L’agenda del viaggio – da mesi in discussione – non è ancora effettiva per tempistiche e appuntamenti, e fonti da Washington riferiscono che tra gli incontri potrebbe esserci quello con il vicepresidente, Mike Pence (ci sono però da incastrare gli impegni dell’americano, solitamente presente sulle faccende di politica interna, ma non sfugge l’importanza simbolica del meeting da nessuna delle due parti dell’Oceano). Dell’organizzazione si occupa Stefano Beltrame, consigliere diplomatico di Salvini, in collegamento sia con le strutture delle Farnesina che con Ambasciata e dipartimento di Stato americani, e al lavoro c’è anche Marco Zanni, europarlamentare che il leader della Lega ha nominato responsabile per la politica estera del partito. I contatti con i think tank – luogo di sviluppo di pensiero e policy, tappa di primo piano in certe visite – sono tenuti da Gianandrea Gaiani, esperto del mondo militare e consigliere del Viminale e trovano sponda in Germano Dottori, docente di Studi strategici, esegeta italiano del trumpismo, consigliere del sottosegretario alla Difesa quota Lega, Raffaele Volpi. Gli interlocutori politici di riferimento sono il sottosegretario a Chigi, Giancarlo Giorgetti – “Il leghista più apprezzato a Washington”, lo definisce confidenzialmente una fonte dell’ambiente diplomatico; nel suo recente viaggio negli Stati Uniti ha incontrato anche Jared Kushner, genero-in-chief del presidente, pezzo da novanta nel sistema di potere famigliare attorno allo Studio Ovale. E poi Guglielmo Picchi, sottosegretario leghista agli Esteri molto lanciato in questo momento, anche lui protagonista di un viaggio negli States a gennaio.
MISSIONI INTERNAZIONALI E DIFESA
Questa è una stagione particolare, perché c’è un allineamento di visioni generali (il sovranismo della Lega e l’America First di Donald Trump, s’è detto più volte), ma anche alcune distanze su interpretazioni e posizionamenti dietro al messaggio politico che esce dalla Casa Bianca, che Salvini è chiamato a recepire per elevare la sua statura di leader nazionale che progetta un futuro a lungo termine per il suo partito. Per esempio, gli Stati Uniti stanno chiedendo agli alleati di rispettare i patti che riguardano la Difesa, su tutti quello del 2 per cento del Pil in investimenti previsto secondo un accodo tra i membri Nato. Trump ne ha parlato di nuovo molto apertamente da Londra. L’Italia non rispetta le prescrizioni Nato, è lontana dal 2 per cento di spese militari, ma Salvini ha preso posizioni importanti a sostegno di progetti nevralgici come gli F-35, e per questo è permeabile alle richieste di impegno americane. Ma non solo, perché gli Stati Uniti trumpiani chiedono ai propri partner maggior coinvolgimento sui campi di azione, cosa che l’Italia sviluppa con presenze importanti in diverse missioni internazionali, Libano, Afghanistan, Kosovo, Iraq, il ruolo nel Mediterraneo.
LA SIRIA
Un tema più nuovo è la Siria, da cui Trump vorrebbe tirar fuori i soldati statunitensi avendo in cambio una garanzia: la sostituzione del contingente attivo anti-Is (e di deterrenza anti-Iran) con unità di paesi amici. Tra questi, oltre agli alleati del Golfo, pare che sia stato chiesto l’impegno dell’Italia. Secondo il CorSera c’è una trattativa discreta condotta attorno al ministero della Difesa, messo sotto pressioni informali americane: niente di nuovo, se si considera che già Lindsey Graham, consigliere informale di Trump sulla politica estera, aveva parlato apertamente dell’idea ad aprile, durante un suo tour in Italia. È evidente che quella che viene definita dalle fonti del Corriere una missione “solo” di addestramento – non è chiaro chi sarebbero gli addestrati – avrebbe scopi anti-terrorismo, fronte Stato islamico, ma anche politici: evitare mosse avventate della Turchia, contenere l’Iran. Compiti delicatissimi che ovviamente non riguardano soltanto Palazzo Baracchini, ma su cui il governo – di cui Salvini è contraente di primo peso politico – è chiamato alla collegialità.
L’IRAN
L’Iran è un altro argomento che mette in ballo le relazioni transatlantiche. Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’accordo stretto nel 2015 per il congelamento del programma nucleare di Teheran, mentre l’Italia fa parte dell’Ue, che sta cercando di tenere viva l’intesa costruendo meccanismi per salvaguardare le ditte europee che fanno affari con la Repubblica islamica dal contraccolpo delle sanzioni secondarie americane. Roma faceva anche parte di quegli otto Paesi a cui era stata concessa una deroga in questo ambito, permettendo di mantenere temporaneamente aperti i rubinetti dell’importazione petrolifera dall’Iran. La misura è stata revocata da qualche mese, perché non era una concessione speciale, ma soltanto una metodo per non stressare troppo il mercato petrolifero; lo stop quasi totale all’export iraniano infatti avrebbe potuto produrre contraccolpi sui prezzi del barile. Washington con l’Iran ha ingaggiato uno scontro aperto, ha recentemente mosso nuove unità militari in Medio Oriente proprio con funzione di deterrenza, e vuole allineamento da parte degli alleati. Salvini ha una visione pro-israeliana, a cui si lega anche la politica anti-Iran della Casa Bianca, e su questo potrebbe giocare le proprie carte.
LA CINA
Lo stesso allineamento gli americani lo chiedono, con maggiore forza, sulla Cina. Con Pechino gli Usa sono in guerra aperta, e faticano ad accettare scivolamenti come quello innescato dall’Italia con la firma per l’adesione alla Belt & Road Initiative, l’infrastruttura geopolitica per collegare la Cina all’Europa; un progetto che Washington considera un elemento di competizione strategico-politica prima ancora che economico-commerciale. Nel pentolone delle richieste sulla Cina fatte dagli americani al governo italiano ci rientra in primo piano la questione Huawei: gli Usa stanno tagliando fuori l’azienda cinese dai propri mercati e lavorano per disarticolarla, pressando gli alleati. Temono che possano esserci questioni di spionaggio usando gli apparecchi Huawei nel 5G, minacciano di interrompere la condivisione di informazioni di intelligence con chi non obbedisce. Cosa può dire a Washington il leader della Lega che ha nella sua squadra il sottosegretario (al MiSe) promotore dell’avvicinamento alla Cina? Forse a Salvini potrebbero essere chieste garanzie proprio su questo.
LA POLITICA, LA RUSSIA…
La questione politica è piuttosto sostanziale. Salvini sogna di guidare un nutrito gruppo di sovranisti al Parlamento europeo, inglobando tra gli altri gli ungheresi di Fidesz e i polacchi di PiS. Da Varsavia è però recentemente arrivata una risposta negativa, dopo che era stato impostato un dialogo mesi fa: il PiS non siederà all’Europarlamento insieme alla Lega, e all’ex Front National, unico alleato di Salvini in Ue – non faranno parte dell’alleanza nemmeno gli ungheresi e il partito della Brexit inglese. Varsavia è un collegamento utile, perché la Polonia subisce l’influenza americana, e l’attuale governo ha un legame diretto con l’amministrazione Trump (pensano di costruire una base militare a lui intestata, per dire). Il rifiuto del partito di governo polacco di costruire un’alleanza con la Lega è collegato all’eccessiva esposizione concessa da Salvini nei riguardi della Russia. La Lega – come gli alleati nazionalisti francesi – ha sottoscritto infatti un accordo politico con Russia Unita (il partito creato da Vladimir Putin) e ha alcuni esponenti finiti attenzionati per i troppi spostamenti a Mosca. Se Salvini vorrà preservare il dialogo con l’amministrazione Trump dovrà cercare di sganciarsi dal peso dei link russi, un lavoro che potrebbe sembrare già in corso se si osserva il dossier venezuelano.
… E IL VENEZUELA
La crisi politica a Caracas è forse l’argomento su cui Salvini – e con lui molti altri leghisti, su tutti il sottosegretario Picchi – hanno maggiormente marcato le distanza dalla Russia. La Lega sostiene il tentativo di rovesciare il regime di Juan Guaidó, mentre Mosca ha schierato forze militari a sostegno del dittatore Nicolas Maduro. La posizione salviniana è quella che Washington chiede ai partner internazionali, su cui ha trovato diversi consensi in campo occidentale, ma è mancato quello dell’Italia. Il governo di cui Salvini è parte non ha effettuato una netta scelta di campo, dato che l’altra ala, quella grillina, ha all’interno posizioni diverse, alcune pro-Maduro. Ora Washington potrebbe chiedere al vicepremier italiano una dimostrazione di forza politica per spostare l’asse di Roma verso Guaidó (e distanziarlo da Mosca): una scelta di campo, un test di consistenza per Salvini, una dimostrazione di come gli Stati Uniti siano importanti nelle dinamiche interne italiane.