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Caro Savona, Nietzsche spiega i conti italiani meglio di Platone

Paolo Savona, da raffinato uomo di cultura quale è, con la sua prima relazione annuale come presidente della Consob ha probabilmente stupito gli economisti, soprattutto quelli mainstream, ma ha anche sorpreso noi cultori di filosofia. Infatti, per esemplificare una delle tesi forti espresse nel suo speech, cioè il fatto che l’Italia non sia messa affatto così male come vuole il luogo comune accreditato un po’ ovunque, ha fatto riferimento al “mito della caverna” presente nella Repubblica di Platone: prigionieri e incatenati con la luce della verità alle spalle, vediamo solo le ombre o le immagini distorte proiettate sul muro davanti a noi.

Questo mito, come è noto, non è solo il luogo probabilmente più frequentato di tutta la storia della filosofia, ma anche una sorta di mito fondativo dell’Occidente e della sua cultura. È solo con il coraggio e la volontà di spezzare le catene e di uscire fuori all’aria aperta a vedere la luce, che possiamo conoscere le cose come veramente stanno, vederle nella loro “realtà effettuale”. Uno sforzo che, in un’epoca di conformismo e omologazione mentale quale è la nostra, nessuno o quasi compie più secondo il presidente della Consob: né gli accreditati analisti esterni degli enti sovranazionali e degli istituti di ricerca, né noi stessi che siamo quasi atavicamente impegnati a denigrarci e a spararci addosso. Da qui il richiamo ai primi affinché si sforzino di non usare solo “basi parametriche convenzionali”, ma tengano conto dei veri “pilastri” che reggono la nostra economia: la competitività delle nostre imprese sui mercati globali e il risparmio accumulato; ai secondi, cioè alle nostre classi dirigenti, ad “abbassare i toni” per rafforzare la luce e la fiducia del Paese in se stesso. È uno supplemento di ragione, o di illuminismo, che Savona chiede, e non gli si può certo dare torto nella sostanza.

Le cose però possono essere viste anche da un’altra angolazione, meno razionalistica e platonizzante ma convergente verso lo stesso concetto. Mi spiego. La filosofia contemporanea si è chiesta se poi lì fuori, alla luce, ci sia veramente qualcosa e se, questo qualcosa, sia da considerarsi la verità, l’Idea nella sua perfezione e purezza, di cui il mondo che ci scorre davanti agli occhi non è altro che apparenza, mera percezione, irrealtà. E se la realtà vera e unica non fosse altro che quella che ci sta innanzi? E se fosse un errore, o addirittura una malattia da curare, il nostro cercare oltre di essa? Lo Zarathustra di Friedrich Nietzsche, in poche righe, fra allusioni e metafore, ci mostra proprio come gradualmente, nel percorso storico della filosofia occidentale, “il ‘mondo vero’ finì per diventare favola” con “Platone rosso di vergogna”.

Ma la conclusione di questa storia, il colpo ad effetto di quel grande visionario che fu il filosofo dell’“oltreuomo,” è la considerazione che “col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente”, cioè ogni distinzione fra percezione e realtà. Nel mondo dell’assoluta immanenza in cui viviamo, si è quel che si crede o si è creduti di essere. Gli stessi mercati e la stessa Borsa che Savona è chiamato a vigilare vivono di umori, sollecitazioni, parvenze, che sono quasi più reali della realtà. L’Italia oggi ha una cattiva reputazione, basata sui “pregiudizi” nostri e altrui, accreditati da quegli “esperti” che, nella sua lettura del “mito della caverna”, Michael Oakeshott apostrofava duramente perché ritenevano di conoscere la verità essendo usciti solo loro fuori alla luce a vederla, e volevano farsi re imponendola ai rozzi cavernicoli che erano rimasti dentro (i “filosofi-re” di cui parla il grande pensatore inglese assomigliano molto ai moderni economisti e tecno-burocrati!).

I sospetti sulla nostra possibilità di insolvenza del nostro debito pubblico sono oggettivamente infondati”, dice Savona, e generano quella speculazione ai nostri danni che l’Europa non contrasta efficacemente e arriva persino a usare come “vincolo esterno” nei nostri confronti. Miti e pregiudizi possono però essere smontati e a questo compito dobbiamo dedicarci. Più che Platone ci serve un Nietzsche che ci sveli di quali e quanti “umani, troppo umani interessi” siano fatte le nobili intenzioni e le virtù a cui gli altri ci richiamano. Mi sembra questo il senso più profondo, qualcuno dirà “sovranista”, della colta e sorprendente relazione del nuovo presidente della Consob.

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