L’emendamento riguardante la colpa grave del funzionario ministeriale che firma il decreto di revoca delle concessioni autostradali, approvato nei giorni scorsi dal Senato in sede di conversione del decreto legge sblocca cantieri, ha suscitato grande attenzione e pone alcune importanti questioni che richiedono una (a mio avviso non ulteriormente rinviabile) discussione, ampia e “laica”, nel Paese. Provo a indicarne almeno tre.
La prima questione riguarda la stretta connessione tra crescita del Paese e Pubblica amministrazione (tema all’interno del quale rientra anche il capitolo più specifico della “paura della firma”). Quella connessione esiste, ed è in effetti molto stretta, come riconoscono del resto, nelle parole e nei fatti, anche gli esponenti del mondo produttivo (più di recente, mi rifaccio agli interventi dei presidenti Boccia e Palenzona).
Su questo punto, è venuto il momento che il Paese in qualche modo scelga una linea precisa, uscendo da una situazione di irrisolto stallo nella quale si passa, quasi quotidianamente, dal chiedere (la mattina) alla Pubblica amministrazione di osare di più in termini di innovazione, all’invocare (la sera) una punizione, esemplare, anche per il funzionario che sbaglia senza dolo. La strada che ci porta verso un futuro più solido per il Paese e per chi vi abita e lavora non è questa, ma quella che crea le condizioni migliori affinché i funzionari pubblici abbiano, oltre alla competenza, anche la serenità di giudizio per dire no quando è il caso di dire no e per dire sì quando è il caso di dire sì.
Quest’ultima considerazione introduce la seconda questione che la vicenda dell’emendamento al dl sblocca cantieri pone sul tavolo: esistono, in Italia, magistrature “economiche” con attribuzioni e poteri in grado di anticipare quella certezza del diritto che metta il funzionario pubblico nelle condizioni di serenità di giudizio migliori, per firmare un atto, nell’interesse del Paese? Porre un tale quesito significa volgere lo sguardo verso la Corte dei conti, alla quale la legge ha affidato il controllo preventivo di legittimità su specifiche tipologie di atti (il cui esito positivo esclude, per le Procure della stessa Corte dei conti, la possibilità di trascinare a giudizio il funzionario pubblico che ha firmato). Investire, o, come forse sarebbe meglio dire, tornare a investire sul controllo preventivo di legittimità intestato alla Corte dei conti, significa, oggi, reinterrogarsi sul tema se sia meglio conoscere, prima e rapidamente, la reale possibilità per un atto di entrare nel circuito economico e produrre concretamente effetti, oppure affidare la sorte definitiva di una vicenda economica (e di altre consimili, future, per il timore che la condanna di un funzionario può suscitare nei suoi colleghi) ad una coda giudiziaria, a posteriori, incerta nel se, nel quando e nel quanto.
La terza e ultima questione concerne il peculiare modello di controllo preventivo che l’emendamento ci propone. Innovando rispetto al quadro regolatorio vigente sino ad oggi in questa materia, l’emendamento ha infatti introdotto una forma di controllo preventivo su atti a richiesta della singola amministrazione ministeriale. È uno schema nuovo, a cui guardare con attenzione e interesse, nel quale si coglie anche fiducia nella possibilità che il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti sappia porsi sempre più come asset strategico per l’Italia del fare (quando, ovviamente, ci siano le condizioni per dire sì), sia a livello centrale sia a livello di enti territoriali (dove, spesso, c’è ancora più bisogno di certezza del diritto e serenità di giudizio nei funzionari chiamati a decidere).
Non entro nel merito del suo riferimento (molto, e probabilmente troppo) specifico ad una tipologia determinata di atti amministrativi, mi limito invece a osservare che questo emendamento, al di là di controvertibili aspetti, può forse rappresentare – sul piano generale – un punto di partenza per un rinnovato ragionamento collettivo sul significato anche economico, su scala di sistema, del controllo preventivo di legittimità intestato ad una magistratura economica, la Corte dei conti, consapevole della necessità e della possibilità di dare il suo contributo al rilancio del Paese.