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La lezione della Sea Watch tra leggi, polemiche e una Libia dimenticata

Comunque andrà a finire, il caso della Sea Watch 3 diventerà un caso “di scuola”. Dopo il dissequestro della nave dell’Ong da parte della magistratura di Agrigento, pur restando indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il comandante, Arturo Centore, era chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo prima di un nuovo scontro con il ministro Matteo Salvini, forte anche del decreto sicurezza bis ormai in vigore. I fatti sono simili a tanti altri: la Sea Watch ha raccolto 52 migranti su un gommone a 47 miglia dalla costa libica precisando in un tweet che “la cosiddetta Guardia costiera libica successivamente comunicava di aver assunto il coordinamento del caso. Giunti sulla scena, priva di alcun assetto di soccorso, abbiamo proceduto al salvataggio come il diritto internazionale impone”.

IL RIMPALLO DELLE RESPONSABILITÀ

Ed è la stessa Sea Watch, indicando il punto in cui ha raccolto i migranti in difficoltà, ad ammettere di aver operato nell’area Sar libica, quella nella quale (piaccia o meno) la Guardia costiera libica ha il diritto-dovere di intervenire, ed era scontata la reazione di Salvini nel minacciare l’applicazione delle nuove norme nel caso quella nave si dirigesse verso l’Italia disattendendo le indicazioni libiche. Infatti, se la nave tentasse di entrare nelle acque italiane scatterebbe la confisca prevista dall’articolo 2 del nuovo decreto a fronte della reiterazione di una violazione, quella del 19 maggio. Inoltre, al comandante e “ove possibile” all’armatore e al proprietario della nave verrebbe comminata una sanzione da 10 mila a 50 mila euro. Salvini ha definito la Sea Watch “una nave pirata” attaccando senza citarlo il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, quando ha detto che a quella nave “qualcuno consente di violare ripetutamente la legge”.

A questo punto i rapporti tra la Ong e Salvini sono i seguenti: gli avvocati dell’Ong hanno annunciato una querela per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del ministro per le sue dichiarazioni, specificando che le autorità libiche non hanno dato nessuna indicazione all’imbarcazione e, comunque, che “la vigente normativa internazionale vieta il trasbordo e lo sbarco in territorio libico”; il ministro dell’Interno ha replicato che, invece, la Libia ha indicato Tripoli come porto per lo sbarco e se non saranno rispettate le indicazioni l’Ong ne risponderà.

LE CONTRADDIZIONI DENTRO LA COMMISSIONE UE

Querele a parte, la Sea Watch vuole evitare la confisca visto che avrebbe deciso di dirigersi in Yunisia pur avendo chiesto e ottenuto, secondo il Viminale, un porto sicuro in Libia. Nel frattempo il ministro ha emesso un’altra direttiva ad hoc diffidando la Sea Watch e chiedendo ai comandi di Polizia e militari di vigilare affinché la nave rispetti le leggi e le prerogative delle autorità straniere.

A questo punto è utile ricordare la lettera inviata il 18 marzo scorso dal direttore generale per le Migrazioni e gli Affari interni della Commissione, Paraskevi Michou, al direttore dell’Agenzia Frontex, Fabrice Leggeri, nella quale si ricordava che la Libia ha ratificato la convenzione di Amburgo del 1979 sulle aree Sar (ricerca e soccorso) e che nel dicembre 2017 l’autorità libica per i porti e il trasporto marittimo ha notificato all’Imo (l’Organizzazione internazionale marittima) la propria area Sar: proprio in base alla convenzione di Amburgo, ha effetto immediato in quanto dichiarazione unilaterale.

Ciò significa che la responsabilità delle operazioni di soccorso in quell’area Sar è dei libici e la Commissione riconosce i risultati raggiunti dalla Guardia costiera libica grazie anche al supporto dell’Unione europea come equipaggiamenti e addestramento. Alla fine di marzo, quando rese nota quella lettera, il Viminale spiegò che il ministro Salvini aveva aggiornato la direttiva sulla sorveglianza delle frontiere marittime: né la Michou né Salvini parlarono di Libia come “porto sicuro”, ma ne derivò un corto circuito perché la portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud, smentì tale possibilità sostenendo che mai la Libia potrà essere considerata porto sicuro. Un corto circuito che dimostrò come dentro la Commissione si parlino poco e male.

Nella lettera a Leggeri, inoltre, si auspicava il coinvolgimento di Tunisia ed Egitto in caso di emergenza. Se si ragiona in punto di diritto, tutti sanno che la Libia non è un porto sicuro e, secondo alcuni, neanche la Tunisia per le frequenti proteste popolari a causa della difficile situazione economica. Ma, se le convenzioni internazionali alle quali fanno riferimento i legali della Sea Watch sono interpretate in altro modo da un alto funzionario europeo, è più difficile impostare una polemica politica credibile.

IL PAPA, AL SERRAJ E IL PD

Un Pontefice non fa nomi, eppure… Nel messaggio alla Giornata mondiale dei poveri Francesco ha citato le nuove forme di schiavitù a cui sono sottoposti uomini, donne e bambini e i “milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza”, oltre agli emarginati “che si aggirano per le strade delle nostre città”. A Donald Trump e a Salvini saranno fischiate le orecchie. Nel frattempo, per restare a casa nostra, nessuno parla della guerra in Libia e così il presidente Fayez al Serraj in un’intervista a Sky Tg24 ha rilanciato il rischio flussi migratori con la possibilità di infiltrazioni terroristiche: tema ben presente all’intelligence e all’anti-terrorismo italiani e che oggi pare l’ennesima richiesta di aiuto per arrivare a una soluzione politica: “Prevediamo di ricevere un supporto concreto dall’Italia – ha aggiunto –, i libici non dimenticheranno quei paesi che durante questa crisi si sono dimostrati amici”.

In tutto ciò il Partito democratico continua a non prendere posizione, limitandosi a dichiarazioni di secondo piano. Forse c’è sfuggito qualcosa, ma l’ultima posizione di Nicola Zingaretti sul tema è del 20 maggio, negli ultimi giorni di campagna elettorale per le Europee, quando disse che “le politiche sulle migrazioni non possono essere solo il controllo degli sbarchi. Mi auguro che anche quello che sta avvenendo convinca questo governo, oramai paralizzato, finalmente a rimettere in campo una politica dell’immigrazione che vuole dire controllo delle frontiere, coinvolgimento dell’Europa, una politica estera, sostegno ai Comuni che ospitano centri di accoglienza e sostegno ai quartieri con politiche sociale di integrazione perché non esploda la rabbia”.

In precedenza, alla metà di aprile, il segretario del Pd rispose con la “linea Zingaretti” alla domanda di un giornalista su quale linea avrebbe scelto tra quelle di Marco Minniti e di Laura Boldrini sull’immigrazione. Finora manca un’articolata spiegazione su che cosa sia la “linea Zingaretti”, senza dimenticare che nello scorso marzo Matteo Renzi scrisse di condividere totalmente la posizione di Matteo Orfini per il quale è stato sbagliato tutto sulla Libia negli ultimi anni. Minniti ringrazia. La “linea Zingaretti” si discosta, ed eventualmente come, dalla linea Renzi-Orfini?

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