La vicenda della nave Sea Watch 3, giunta a Lampedusa nonostante l’alt intimato dalla Guardia di Finanza dopo essere rimasta ferma al largo con 42 migranti a bordo per due settimane, si sta concludendo nell’unico modo possibile una volta che i responsabili dell’ong avevano deciso di non dirigersi altrove e con parole molto pesanti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sia contro il comandante della nave che nei confronti dell’Olanda di cui batte bandiera. Ma soprattutto la minaccia vera di Salvini è quella rivolta contro l’Unione europea: non identificare più gli immigrati che arrivano in Italia, in modo che possano andare dove vogliono (e, in questo caso, non potrebbero essere rispediti in Italia che non risulterebbe paese di prima accoglienza). Una vicenda che, come altre in precedenza, ha diviso le forze politiche, ma con un paio di differenze: la prima per l’atteggiamento avuto dai responsabili della nave e la seconda per la coincidenza con il dibattito alla Camera sulle missioni internazionali tra le quali anche quella in Libia.
DUE SETTIMANE DI INCERTEZZA
Se la ricostruzione è corretta, la Sea Watch raccolse 50 migranti al largo della Libia il 12 giugno e nei giorni successivi avrebbe chiesto un porto sicuro alla Libia ricevendone conferma da Tripoli ma poi non l’ha accettato (ricostruzione del ministro Matteo Salvini, non smentita); avrebbe poi chiesto l’autorizzazione allo sbarco a Malta che l’avrebbe negato; non si è recata in Tunisia che pure era vicinissima; ha deciso infine di stazionare ai limiti delle nostre acque territoriali dopo che alcuni migranti in difficoltà erano stati soccorsi dalle autorità italiane. Fin dal primo momento Salvini l’aveva definita una nave pirata ricordando le norme in vigore che, piacciano o meno, prevedono una diffida dall’entrare nelle acque italiane e, in caso di recidiva come per la Sea Watch, il sequestro della nave e multe salate. Quindi che cosa sperava di ottenere l’equipaggio oltre a richiamare l’attenzione sul dramma dell’immigrazione?
“L’EUROPA CI HA ABBANDONATI”
Alla fine la comandante, Carola Rackete, si è resa conto che le condizioni dei migranti erano tali da non giustificare più un’inutile attesa ammettendo che “l’Europa ci ha abbandonati” e avviandosi verso l’isola. Decisione che ha provocato un’immediata diretta Facebook del ministro dell’Interno il quale, con toni particolarmente duri, ha ribadito che non avrebbe autorizzato lo sbarco minacciando lo schieramento della forza pubblica, definendo “sbruffoncella” la Rackete, un “atto ostile” la decisione di forzare il blocco e “un’associazione di fuorilegge” quella dei responsabili della SeaWatch; attaccando l’Olanda, di cui la Sea Watch batte bandiera, e la Germania perché l’equipaggio è tedesco. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha incaricato l’ambasciatore a L’Aja di compiere un atto formale presso il governo dei Paesi Bassi e Salvini ha chiesto che sia l’Olanda a farsi carico delle 42 persone a bordo. A questo proposito, il ministro dell’Interno ha precisato che farà “pesare sui tavoli europei il menefreghismo del governo olandese”.
IL “NAUFRAGIO” DELLA POLITICA
L’intera storia sta avendo inevitabili conseguenze politiche. Farsi notare urlando più forte non sempre è il mezzo migliore perché chiedere di affondare la nave come ha fatto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, trasmette un messaggio sbagliato: la Sea Watch sarà sequestrata, il comandante e i responsabili dell’ong subiranno delle conseguenze come prevede la legge, che bisogno c’è di invocare misure draconiane sperando di recuperare anche un solo voto?
Ben diversa è invece la situazione interna al Partito democratico. Matteo Orfini e Graziano Delrio hanno annunciato la loro presenza a Lampedusa per monitorare la vicenda Sea Watch e contestare la politica migratoria di Salvini. Una scelta condivisa dal segretario Nicola Zingaretti che ha chiesto un incontro al presidente Giuseppe Conte e che accusa Salvini di corresponsabilità nella mancanza di una politica europea sull’immigrazione a causa delle sue sei assenze su sette vertici dei ministri suoi omologhi. La posizione unanime del Pd sulla Sea Watch nasconde la spaccatura sulla politica dell’immigrazione: nel dibattito alla Camera sul decreto missioni Orfini (oggi in minoranza) si è unito alla risoluzione di LeU e di +Europa chiedendo la fine della collaborazione con la Libia mentre la maggioranza, rappresentata dal capogruppo Delrio, è d’accordo sul proseguirla, che significa proseguire il lavoro intrapreso da Marco Minniti. Si resta in attesa di conoscere la “linea Zingaretti” sull’immigrazione: concentrarsi sulla Sea Watch significa guardare il dito mentre guardare la luna è molto più complicato.