C’è un dossier che sta infiammando il comparto italiano della Difesa. Dopo la sentenza della Corte costituzionale dello scorso anno, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha riconosciuto a gennaio la prima “associazione professionale a carattere sindacale tra militari”, alias sindacato militare. La mancanza di una legge che disciplini la materia (seppur richiesta dalla Consulta), ha alimentato un dibattito effervescente quanto delicato, con effetti potenziali di portata “epocale” (questo il termine scelto dal capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli) sulle Forze armate.
IL DIBATTITO
Agli estremi ci sono gli assolutamente contrari, posizione superata dalla sentenza della Corte, e coloro che invece vorrebbero trasferire i sindacati “civili” all’interno delle Forze armate, ipotesi altrettanto inattuabile vista la specificità del settore. Nel mezzo, una quantità infinita di posizioni e disaccordi, che partono da questioni filosofiche (“i militari sono cittadini come gli altri?”) a tematiche particolarmente tecniche (“i sindacati potranno dire la loro sul voto di attitudine militare?”). Per cercare di fare chiarezza, lo scorso 6 giugno, Formiche, Airpress e la Fondazione Icsa hanno organizzato una tavola rotonda sul tema. Su un solo aspetto sono tutti d’accordo: serve un confronto virtuoso tra tutti gli attori coinvolti, che tenga conto delle varie istanze e delle molteplici esigenze.
UN RICHIAMO ALLA CAUTELA
Per Leonardo Tricarico, promotore dell’evento, presidente della Fondazione Icsa e del Comitato strategico di Airpress, “è stato improvvido riconoscere i sindacati militari prima ancora della loro effettiva esistenza, in quanto ancora non esistono i limiti nell’esercizio di questo diritto non essendoci una legge di riferimento”. Difatti, ha ricordato l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, per quanto ci sia una sentenza della Corte Costituzionale che riconosce il diritto, tale sentenza “dice che questo va esercitato nel rispetto di una legge che però attualmente non esiste”. Prima di tutto, ha aggiunto, “risulta particolarmente delicato decidere in quali materie i sindacati possano operare, poiché bisogna tutelare la stabilità delle Forze armate; ciò non può essere valutato e giudicato da chi è fuori da esse o da chi non conosce il settore; serve delicatezza, esperienza e senso di misura”.
RAPPORTO TRA DATORE E ASSOCIAZIONE
Giorgio Carta, avvocato e ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri, tra i fondatori del primo sindacato militare della storia italiana, ha ricordato che “la sentenza della Corte Costituzionale è il frutto, peraltro tardivo, di un lungo percorso e, contrariamente a quanto da molti affermato, non pone alcun limite o paletto al legislatore per la futura regolamentazione giuridica”. Per ora, secondo l’avvocato, stona che “un sindacato per esistere debba chiedere il consenso al datore di lavoro (come provvisoriamente previsto dalla circolare ministeriale, ndr), che può pure successivamente revocarlo; è incostituzionale e, soprattutto, non è affatto imposto dalla sentenza della Corte Costituzionale”. Il punto, ha affermato Carta, è che “sotto il profilo lavorativo, sociale e familiare i militari sono cittadini come gli altri, e come tali devono godere degli stessi diritti o, quanto meno, di quelli oggi riconosciuti ai poliziotti”. Difatti, “personalmente non riesco a vedere la differenza tra il lavoro di un poliziotto e un carabiniere”, ha aggiunto, ricordando come al personale delle Polizia di Stato sia da tempo riconosciuto “un diritto sindacale che, per quanto di serie b rispetto a quello degli altri lavoratori (non ricomprendendo il diritto di sciopero), è pur sempre più ampio di quello che emerge dalle proposte di legge attualmente all’esame del Parlamento”.
NON SONO SEMPLICI CITTADINI
La questione di base pare però controversa. “I militari non possono essere considerati come normali cittadini e questo non vuol dire lederne i diritti ma non inficiare lo strumento militare stesso; essi infatti svolgono un ruolo particolare e delicato, tutelando la sicurezza dentro e fuori i confini nazionali”, ha risposto Maria Tripodi, capogruppo di Forza Italia in commissione Difesa alla Camera, dove il provvedimento è tornato in discussione in sede referente dopo un primo passaggio in aula. Proprio un suo emendamento, qualche settimana fa, aveva causato frizioni nella maggioranza, ricevendo l’appoggio di tutti i partiti ad eccezione del M5S, superando l’emendamento della grillina Emanuela Corda che prevedeva di devolvere al giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro) le controversie relative ai rapporti di lavoro per i militari. “Il tema dovrebbe però essere trattato in modo assolutamente bipartisan, proprio come ho auspicato dall’inizio dell’Iter del provvedimento – ha detto la Tripodi – poiché le Forze armate sono un patrimonio di tutto il Paese; a tal proposito si è arrivati infatti a un testo base condiviso”. Ne discende l’invito “ad abbassare i toni rispetto quella che emerge come eccessiva effervescenza”, ha aggiunto la deputata forzista: “Bisogna avere la capacità di dare il giusto peso alle cose; gli interessi della Nazione dovrebbero sempre prevalere su quelli delle singole categorie”.
LE PERPLESSITÀ SUL SINDACATO
Anche il presidente dell’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Folgore, Marco Bertolini, ha palesato le proprie perplessità nei confronti dell’istituzione dei sindacati militari. “Se l’idea deve essere quella di rompere lo spirito di corpo, vuol dire che c’è una volontà che mira a rendere instabile uno strumento che fino adesso ha sempre funzionato”. In altre parole: “Perché se le Forze armate hanno sempre funzionato ora c’è la necessità di fare tutto ciò?”. Il rischio, ha spiegato, è irrorare lo strumento militare di un approccio classista e partitico che minerebbe l’unità della Difesa nazionale. In più, “ci sono ben altre priorità: i mezzi, l’addestramento, gli investimenti e l’ammodernamento complessivo delle strutture”. Tra l’altro, ha fatto eco alla Tripodi, “le Forze armate sono diverse dalle Forze di Polizia; operano fino a quando hanno perseguito il loro scopo, mentre la Polizia segue la legge. Volerle unire e dire che sono la stessa cosa sarebbe un errore”.
UNA NECESSITÁ PRATICA
Di tutt’altro avviso è l’avvocato e consulente legale del Sindacato Militari, Giulio Murano, che ha ribadito la necessità pratica dell’istituzione delle associazioni militari a carattere sindacale (questo il nome scelto dalla circolare ministeriale). Stando alle parole dell’avvocato, considerato che sono già state stabilite determinate caratteristiche e limiti, “il sindacato, che per altro esiste in quasi ogni ambito lavorativo, lascia intravedere una certa tranquillità d’applicazione anche nell’ambito delle Forze armate”. Nell’iter legislativo attualmente in corso, ha aggiunto l’avvocato, sarebbe necessario evitare le discriminazioni, “sentendo tutte le parti interessate nel processo, poiché non ci devono essere pregiudiziali ideologiche e organizzative”. Il dicastero della Difesa, ha notato, “non può decidere a monte chi sentire e chi no”.
MA SE MANCA LA LEGGE…
Il problema fondamentale, ha notato Giuseppe Severini, presidente di sezione al Consiglio di Stato e già consigliere giuridico del ministro della Difesa, è l’assenza di una legge di riferimento. In tal senso, non essendoci una legge, “non c’è neanche il diritto, ma solo una cornice giuridica rappresentata dalla sentenza della Corte costituzionale (la quale non poteva non conformarsi alla precedente sentenza della Corte europea di Strasburgo) e dalla circolare ministeriale”. Eppure, la sentenza della Consulta cita esplicitamente dei limiti, materie su cui i sindacati non possono intervenire. Ne consegue che “le figure ipotizzate si presentino sui generis, in nessun modo configurabili in sindacati”. Sulla questione dei militari come cittadini, Severini ha le idee chiare: “Va sfatata l’idea che il militare sia un lavoratore come gli altri”. Le Forze armate, ha aggiunto, “godono del monopolio dell’uso della forza; tutto ciò rende la condizione di chi ci opera diversa da un comune cittadino”.
GLI STESSI DIRITTI DEI LAVORATORI
Al contrario, come si confà ai migliori dibattiti, il segretario generale del Sindacato dei Militari, Luca Comellini, ha fornito una lettura diversa sullo status dei militari: “Sono come gli altri cittadini; sono lavoratori in divisa, con compiti e funzioni diversi, ma non per questo il legislatore può negare i loro diritti”. Stando alle sue parole, la libera e consapevole scelta di un individuo di operare nelle Forze armate non costituirebbe una ragione sufficiente per limitare il diritto di associazione sindacale. Comellini punta il dito contro le forze di governo: “Il problema è che ad oggi, dopo un anno dalla sentenza, il Parlamento non è stato in grado di stabilire le leggi necessarie per il funzionamento del sindacato”. Poi, il riferimento agli aspetti positivi che discenderebbero dall’istituzione dei sindacati militari: “Le associazioni riusciranno a insegnare ai vertici delle Forze armate come si applica la legge; il sindacato serve a controllare, non si vuole certo sostituire ai comandanti”.
LE DIFFERENZE TRA I SETTORI
“Le assicuro che i comandanti conoscono bene la legge e non gliela devono certo insegnare i sindacati”, ha risposto il generale Bertolini, a testimonianza di un dossier che resta davvero caldo. I punti da considerare sono molteplici, ha difatti affermato il vice presidente dell’Istituto affari internazionali, Michele Nones. Di sicuro, ha aggiunto, “non possiamo applicare alle Forze armate delle dinamiche tipiche del settore civile; bisogna affrontare il problema tenendo conto di alcune specificità”, ha affermato. “Il settore è delicato e complesso, e interventi sporadici e spot potrebbero finire per distruggere tutto il sistema”. Per questo, ha detto concludendo, sull’iter legislativo in corso “non c’è nessuna fretta: se il Parlamento deve intervenire sulla materia è meglio che si prenda tutto il tempo necessario. In gioco c’è una buona fetta dell’efficienza del nostro strumento militare”.