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Perché Roma e Parigi devono andare d’accordo. Anche senza Fca-Renault

Ci sono ragioni politiche ed economiche per cui due grandi Paesi come Italia e Francia devono per forza andare d’accordo. Partendo dalle ultime, basta scorrere la bilancia commerciale dei due Stati per accorgersi quanto siano legati. Parigi per Roma è il secondo partner commerciale al mondo dopo gli Stati Uniti in settori strategici come la finanza e l’agro-alimentare. La globalizzazione rende questi legami ancora più centrali, sebbene negli ultimi anni il rapporto si sia molto sbilanciato a favore dei cugini, lesti ad acquistare i migliori marchi del made in Italy e molto più chiusi nel caso contrario, come Fincantieri e tante altre aziende nostrane sanno bene. Le ragioni politiche nascono e sono ancora più radicate nel tempo.

I francesi hanno dato un contributo fondamentale all’Unità d’Italia, sono stati poi alleati nella Grande Guerra e nemici nella Seconda, infine insieme a noi hanno fondato l’Unione Europea. Si può dire dunque, parafrasando quanto affermato dal commissario Pierre Moscovici, e guardando a quanto accaduto nella notte del 5 giugno alla fusione (per ora) fallita tra Renault e Fca, che la porta a Ventimiglia deve restare sempre ‘’aperta’’, non solo per mere ragioni contabili comunitarie, ma perché conviene ad entrambi i paesi per motivi industriali e finanziari. Senza di loro l’Europa politica non c’è. Senza di loro il mercato unico si dimezza.

Queste premesse doverose devono quindi farci guardare con occhi diversi a quanto accaduto nelle ultime ore nel triangolo Bruxelles, Roma, Parigi. Per quanto riguarda l’annunciata e non avvenuta procedura d’infrazione (deciderà il Consiglio Europeo dei capi di stato e di governo) le cose sono piuttosto chiare. Sicuramente un’azienda il cui fatturato crescesse meno del suo indebitamento avrebbe problemi crescenti con le banche che gli fanno credito. Ed è esattamente quello che la Commissione Europea teme che possa accadere all’Italia, se non riuscirà a contenere l’aumento del debito pubblico, pronto a superare nel 2020 il 135% rispetto al Pil. Il cartellino giallo dell’Unione Europea nei confronti del governo gialloverde notificato per lettera da Bruxelles e a voce da Moscovici non arriva dunque inaspettato e rappresenta un chiaro monito a non fare nuovo deficit, in quanto il disavanzo altro non è che la quota annuale del monte debito totale, ormai oltre i 2.300 miliardi di euro. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole se non fosse che questo avvertimento sa un po’ di pre-commissariamento di un paese retto da un esecutivo sovranista. Ma si può ovviare eccome all’arrivo della Troika. Basta che a Palazzo Chigi si smetta di litigare e si trovino le risorse per ridurre le tasse con la Flat Tax o quant’altro e per far ripartire i cantieri, dalla Tav in giù, senza però aumentare la spesa. Un compito molto difficile, in vista di una manovra ancora più tosta, ma non impossibile in un bilancio di 700 miliardi di euro. Ma la decisione finale sul nostro destino e su quello di una legge di bilancio da 30 miliardi di euro da fare non a debito, la scriveranno appunto i governi e una parola definitiva la daranno sicuramente la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Angela Merkel.

Come importante è stato il parere dell’Eliseo sulle nozze mancate tra le case automobilistiche Renault e Fca. Nel comunicato notturno del Lingotto si fa espressamente menzione alla mancanza di “condizioni politiche in Francia’” , dove lo stato è azionista di maggioranza dell’azienda di Boulogne, altri pensano che un veto possa essere arrivato dal Giappone, dove Nissan ha pur sempre un 15 % della casa transalpina. Il tempo spiegherà cosa è accaduto davvero e se questa trattativa, che porterebbe a creare il primo gruppo automobilistico al mondo per vetture vendute e dunque rappresenterebbe un assist cruciale per i conti di entrambe le società, potrà ripartire. Ma intanto occorre ricordare che francesi sono abituati a comandare: lo Stato controlla aziende importanti come Edf, AirFrance, Airbus, Engie, Naval, Thales e, appunto, Renault. Il piatto era dunque ricchissimo e faceva gola a Macron, perché diventare leader planetario nel settore più importante del manifatturiero sarebbe stato un successo.

Sempre che agli Agnelli e allo stato italiano fosse andato bene e si fosse trovata la formula ideale per salvaguardare i posti di lavoro, mantenere in entrambi i paesi lo scettro del comando, lasciare in Olanda la testa finanziaria e le quotazioni delle azioni nei mercati a suo tempo scelti da Sergio Marchionne. Chissà che direbbe l’uomo dal maglione nero di questa operazione. Di sicuro con la Francia l’Italia deve e dovrà sempre fare i conti senza posizioni subordinate, nell’Unione Europea come nella finanza. Basta guardare una cartina geografica per rendersene conto.

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