Lorenzo Montanari è il direttore dei programmi internazionali dell’Americans for Tax Reform, gruppo di pressione a Washington DC fondato da Ronald Reagan e presieduto da Grover Norquist che da trent’anni ha un solo obiettivo: far sparire le tasse. La riforma fiscale di Donald Trump deve molto a questa macchina da guerra dei conservatori americani. Per questo il vicepremier Matteo Salvini nella sua visita a Washington in programma domenica 16 e lunedì 17 vi farà tappa. “Le premesse sono ottime” assicura Montanari.
Di che parlerete con Matteo Salvini?
Del ruolo che ha avuto l’Americans for Tax Reform nella riforma fiscale di Trump e della ricetta che serve per rilanciare l’economia italiana. I risultati della tax reform trumpiana sono sotto gli occhi di tutti. Il salario nominale è aumentato in media del 3,5%, gli Stati Uniti hanno la crescita più imponente degli ultimi cinquant’anni, una media del 3.1% con picchi del 4%, la disoccupazione è scesa a una media del 3.1%.
Vi piace l’idea leghista di flat tax?
La priorità per il governo italiano dovrebbe anzitutto essere il taglio drastico della corporate tax, che oggi si aggira intorno al 27-28%. Con il taglio delle tasse sulle imprese ripartirebbero gli investimenti esteri in Italia. In Europa c’è chi ci è riuscito. Il premier ungherese Viktor Orban, ad esempio, l’ha abbassata al 9%.
Torniamo a Trump. In molti hanno accusato la sua riforma fiscale di essere fatta su misura per i ricchi.
La riforma di Trump è la riforma della classe media americana. Quella della riforma dei ricchi è una critica fabbricata ad arte dai democratici. I dati dicono altro. I due pilastri della riforma, il taglio della corporate tax e la trasformazione del sistema di tassazione da globale a territoriale, si sono mostrati solidi.
Cioè?
Le imprese hanno dato bonus ai dipendenti o hanno reinvestito i capitali. Le deduzioni standard sono aumentate da 12.000 a 24.000 dollari. La riduzione della tassa sulle imprese dal 35% al 21% ha reso gli Stati Uniti il Paese più competitivo al mondo, con un valore al di sotto della media Oecd. Non lo diciamo noi, lo dice il World Economic Forum.
E le imprese sono davvero tornate a produrre negli Usa?
Certo. Prima della riforma c’erano 3,3 trilioni di dollari depositati all’estero. Grazie alla tax reform circa il 25% del cash statunitense ora può essere reinvestito nell’economia americana.
Come fa la flat tax di Salvini a convivere con il reddito di cittadinanza?
Non può. Deve essere riformato il mercato del lavoro, non si può continuare con l’assistenzialismo e misure come il reddito di cittadinanza. La riforma delle tasse deve andare di pari passo con una riforma della spesa. L’obiettivo della Lega dovrebbe essere promuovere una tax competition in Europa contrastando l’armonizzazione delle tasse proposta da alcuni Stati membri.
La visita del vicepremier non ruoterà solo intorno alle tasse. Che sensazioni ci sono a Washington DC?
Le premesse sono ottime. Il 5G sarà uno dei temi caldi. Gli Stati Uniti sono preoccupati per l’entrata dei cinesi nella banda larga perché ha conseguenze sulla sicurezza delle comunicazioni e sulla condivisione di intelligence. Su questo la posizione di Salvini non si allontana da quella di Trump. È uno dei tanti dossier su cui la Lega si è avvicinata in questi mesi all’amministrazione Usa, penso al Venezuela dove i leghisti, a differenza dei Cinque Stelle, hanno preso una posizione chiara.