Per la prima volta nella storia un Presidente americano ha incontrato un leader nordcoreano passando dalla zona demilitarizzata al confine tra le due Coree. È questa la dimensione minima del summit di oggi tra Donald Trump e Kim Jong-un.
Ma non basta: Trump è poi andato formalmente in Corea del Nord, attraversando il confine per entrare in uno degli edifici frontalieri insieme a Kim. Il primo della storia degli Stati Uniti a farlo (Clinton e Carter erano stati in Corea del Nord ma non erano più in carica): “Passare attraverso questa linea è stato un grande onore, sono stati fatti molti progressi”, ha detto Trump. Di più: da lì, dal territorio di uno degli Stati che decenni di dottrina americana hanno considerato paria, nemici di Washington, Trump ha invitato il satrapo nordcoreano alla Casa Bianca: “Il rapporto che abbiamo sviluppato ha significato così tanto per così tante persone […] Mi piace stare con te”, ha detto rivolto a Kim. Ad accompagnare l’americano al villaggio ibrido di Panmunjom è stato il sudcoreano Moon Jae-in, il motore che ha avviato l’attuale fase negoziale con Pyongyang a febbraio del 2018 (con l‘occasione delle Olimpiadi invernali in Corea del Sud).
Moon ha aspettato i due nella Freedom House sul lato sudcoreano della linea di demarcazione, e l’incontro — durato 50 minuti, molto più del previsto — è proseguito a tre. Se per far ripartire i negoziati sulla denuclearizzazione del Nord e della penisola serviva un simbolo, niente di più forte di quelli odierni. Trump l’ha definito “uno step importante”, per Moon è “un momento storico” nel processo di pace della penisola. L’americano ha alternato i toni accondiscendenti (sui test missilistici di maggio, col rischio di sembrare debole per altri dossier) a quelli più entusiasti (a proposito del rapporto personale) a un atteggiamento generalmente più cauto sul dossier in generale, ha detto che “non c’è fretta”, ha ricordato che per condurre i lavori c’è un team apposito del dipartimento di Stato (guidato dall’inviato speciale Steve Biegun), e rilanciato nuovi tavoli di negoziato che ripartiranno già nelle prossime settimane. Non è chiaro se ci siano stati effettivi cambiamenti rispetto al meeting di Hanoi di febbraio, chiuso malamente.
L’incontro è comunque un successo per tutti. Moon incassa l’incoronazione a mediatore-in-Chief nel processo, facilitatore di un incontro che è già storia, sebbene non sia stato lui a progettarlo. Per Trump, ideatore del faccia a faccia che rottama i protocolli diplomatici e di sicurezza con cui vengono preparati certi vertici, è la dimostrazione che lui è un uomo-del-fare, rapido e deciso: caratteristiche straordinarie da rivendere nei prossimi rally elettorali in vista del 2020, insieme alla forza politica dimostrata (offrire una stretta di mano a Kim con la consapevolezza che l’altro difficilmente avrebbe potuto rifiutare). Kim anche ne esce positivamente: scendere al sud per vedere Trump e Moon lungo la DMZ senza preavviso rinfresca l’immagine del leader alla guida di una macchinosa, lenta, anacronistica quanto brutale dittatura, e chiude almeno momentaneamente la stagione del “regno eremita”. Pyongyang non è più isolata e chiusa, o almeno lo è molto meno (di contro il rischio che sfrutti gli spazi per costruirsi uno status da potenza e su quello basare i futuri negoziati). Dimostra di accettare il contatto col mondo: aspetti che nascondono un altro vincitore, la Cina, che ha avuto con il Kim Rocket Man (come lo chiamava Trump ai tempi dei continui test militari) un rapporto insofferente, perché quella chiusura attorno all’arsenale del satrapo-chairman attirava troppo le attenzioni internazionali — ossia americane — su una regione in cui Pechino vorrebbe esercitare armoniosamente la propria egemonia. L’incontro con Kim arriva dopo un faccia a faccia tra Trump e Xi Jinping a margine del G20 che l’americano ha detto essere andato sopra le aspettative. Teoricamente la dichiarazione inter-coreana di Panmunjom dell’aprile 2018 — stretta tra Moon e Kim — promuoveva incontri a quattro sul confine, includendo nel formato arrangiato oggi anche la Cina. E chi sa, si vedrà in futuro. (Nota: Trump sarà anche l’uomo del deal, del bilaterale, ma l’intrecciarsi dei dossier che ha trattato negli ultimi giorni non può non coinvolgere più lati, ossia più attori. L’incontro a sorpresa con Kim riguarda anche la crisi con l’Iran. Trump manda a Teheran un messaggio per i negoziati, sebbene con Teheran ci siano due grosse differenze rispetto all’approccio col Nord: la complessità della politica interna iraniana e l’ostilità degli alleati regionali Usa a un passo di avvicinamento).
(Foto: Twitter, @MarkKnoller)