Il Messico torna al centro del dibattito politico statunitense. Secondo la testata americana The Hill, Donald Trump sarebbe pronto a dichiarare una secondo emergenza nazionale per imporre dazi contro il Paese centroamericano, con l’obiettivo di spingerlo a bloccare i flussi migratori che, attraversando il suo territorio, si dirigono verso il confine meridionale degli Stati Uniti. Il giornale cita una bozza di documento, secondo cui la nuova emergenza risulterebbe necessaria a causa “del fallimento del governo messicano nell’adottare misure efficaci per ridurre la migrazione di massa di stranieri che attraversano illegalmente gli Stati Uniti attraverso il Messico”.
Dalla Casa Bianca, per ora non commentano. Qualora Trump si decidesse ad agire in questa direzione, la nuova emergenza seguirebbe quella dichiarata lo scorso febbraio, quando il presidente inviò al confine le truppe della Guardia Nazionale e iniziò a stanziare i fondi per il muro messicano, nel corso di un serrato braccio di ferro con il Congresso. Nonostante una risoluzione congiunta delle due camere avesse bloccato l’emergenza, Trump era riuscito ad aggirarla attraverso lo strumento del veto presidenziale. Una mossa tacciata da alcuni di incostituzionalità, per quanto – a ben vedere – fosse avvenuta nel solco del National Emergencies Act del 1976 e di una sentenza della Corte Suprema del 1983.
In questo senso, stando alla suddetta bozza, sembrerebbe che i funzionari della Casa Bianca ritengano la prima emergenza legalmente non sufficiente per imporre i nuovi dazi. Dazi, che Trump ha minacciato una settimana fa, invocando l’International Emergency Economic Powers Act: una legge federale, siglata da Jimmy Carter nel 1977. Si tratta di una norma che consente al presidente di intervenire nelle dinamiche commerciali con nazioni considerate pericolose in termini di politica estera, economia o sicurezza nazionale. Una norma che, nei decenni passati, è stata spesso attuata: per esempio, l’anno scorso, fu invocata in riposta alla violazione dei diritti umani perpetrata da Daniel Ortega in Nicaragua; nel 2014, Barack Obama la utilizzò in occasione della crisi ucraina; George W. Bush vi ricorse all’indomani degli attentati dell’11 settembre per bloccare gli asset delle organizzazioni terroristiche.
Se da un punto di vista legale la posizione di Trump appare quindi più solida di quanto venga generalmente affermato, sotto il profilo politico la situazione appare ben più ingarbugliata. Innanzitutto, una nuova emergenza nazionale potrebbe innescare non poche polemiche. Già a febbraio, questa linea determinò dure reazioni: non solo da parte dei democratici ma anche degli stessi repubblicani. In particolare, questi ultimi si dividevano in due categorie: i centristi (che non apprezzavano una politica migratoria troppo restrittiva) e i conservatori (convinti che invocare una emergenza nazionale sulla questione del muro messicano rischiasse di espandere eccessivamente i poteri dell’esecutivo).
In secondo luogo, un altro problema riguarda specificamente i nuovi dazi contro il Messico: una misura che una parte consistente del Partito Repubblicano non sembrerebbe apprezzare particolarmente. Negli ultimi giorni, la situazione tre i ranghi dell’elefantino si è fatta abbastanza tumultuosa. Soltanto ieri, Politico rivelava che una pattuglia di repubblicani sarebbe pronta a mettere in piedi una maggioranza a prova di veto al Senato per boicottare le nuove tariffe del presidente. Altri esponenti del partito invece, soprattutto alla Camera, si dicono intenzionati a spalleggiare Trump sulla questione. Ed è proprio su questo che la Casa Bianca sta puntando: anche qualora infatti il Senato avesse i numeri per aggirare un veto presidenziale, alla Camera l’obiettivo risulta, ad oggi, fondamentalmente impossibile da raggiungere. Più in generale, su questa questione, i motivi di divisione sono differenti. Se alcuni repubblicani si oppongono al presidente in ragione di un contrasto alle dinamiche del protezionismo economico, altri lo difendono in nome della stretta sui flussi migratori. Sullo sfondo, poi, si stagliano ragioni di natura elettorale, in vista del voto del 2020.
Intanto le trattative con il Messico proseguono. Nelle ultime ore, il Paese centroamericano ha fatto di tutto per cercare di rallentare i flussi migratori verso gli Stati Uniti: ha iniziato a schierare seimila soldati al confine meridionale con il Guatemala e bloccato alcune centinaia di profughi in viaggio. Sforzi che, secondo Trump, non risultano tuttavia al momento sufficienti per scongiurare l’entrata in vigore dei dazi. Del resto, il presidente sull’immigrazione si gioca gran parte della rielezione nel 2020. E, in quest’ottica, la linea dura ha un chiaro obiettivo: mantenere una sua storica promessa elettorale, cercando di aggirare al contempo i ricorsi giudiziari approntati dai democratici.