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Immigrazione: Trump ritarda i rimpatri e passa (per ora) la palla al Congresso

Donald Trump ha annunciato ieri di voler ritardare di due settimane un’operazione dell’Immigration and Customs Enforcement (Ice), finalizzata al rimpatrio di circa duemila famiglie di immigrati irregolari. Il presidente ha giustificato la mossa, affermando di voler consentire al Congresso la possibilità di trovare un accordo su una riforma dell’immigrazione. In tal senso, Trump ha dichiarato su Twitter: “Su richiesta dei democratici, ho ritardato il processo di rimozione dell’immigrazione illegale (rimpatrio) per due settimane, per vedere se democratici e repubblicani possono riunirsi e trovare una soluzione ai problemi di asilo e di fessure al confine meridionale. Altrimenti, i rimpatri iniziano!”

OPERAZIONE MIGRANTI

L’operazione era stata annunciata qualche giorno fa dal presidente e avrebbe dovuto comportare una serie di blitz da effettuarsi stamane nelle città con le principali comunità di immigrati (tra cui Miami, Chicago e Los Angeles). In particolare, il tutto avrebbe dovuto riguardare i migranti colpiti da ordine di espulsione, per un totale di circa un milione di persone. Il progetto si era attirato le critiche del Partito Democratico. Ad essersi espressa in modo particolarmente duro è stata, tra gli altri, la senatrice californiana (e attuale candidata alla nomination democratica) Kamala Harris, che aveva accusato il presidente di politicizzare la questione dell’immigrazione.

LE DIVISIONI REPUBBLICANE

Attualmente risiedono negli Stati Uniti circa dodici milioni di immigrati irregolari. E adesso bisognerà capire se i parlamentari americani saranno realmente in grado di arrivare a un compromesso per attuare una riforma. Una speranza piuttosto flebile, visto che si tratta di un tema storicamente divisivo e su cui – da tempo – repubblicani e democratici non riescono a trovare un accordo. Fattori di dissidio risultano tra l’altro trasversali anche agli stessi schieramenti politici.

Da molto tempo, per esempio, il Partito Repubblicano risulta al suo interno caratterizzato da non poche divisioni. Se i suoi componenti più conservatori chiedono tendenzialmente la linea dura contro i clandestini, gli esponenti centristi sposano di solito posizioni maggiormente morbide in materia. Donald Trump, dal canto suo, ha fatto della lotta all’immigrazione clandestina uno dei propri cavalli di battaglia, dai tempi della sua candidatura alla nomination repubblicana nel giugno del 2015. Un elemento con cui il magnate newyorchese ha in parte costruito il proprio successo politico alle presidenziali del 2016, visto l’interessa sul tema mostrato soprattutto dalla classe operaia della Rust Belt.

VERSO USA 2020

La questione degli immigrati irregolari si avvia a divenire dirimente anche in vista delle prossime elezioni. E, proprio per questo, Trump sta da mesi cercando di mantenere la linea dura. Il muro al confine con il Messico è al momento parzialmente bloccato a causa di sentenze giudiziarie contrastanti. E, per non rimanere con le mani in mano, il presidente americano – utilizzando la minaccia tariffaria – ha recentemente raggiunto un accordo con il Messico, con l’obiettivo di bloccare i flussi migratori provenienti da Sud. In particolare, il Paese centroamericano si è impegnato ad arginare il passaggio dei migranti sul proprio territorio, arrestare i trafficanti di droga e a ospitare un maggior numero di richiedenti asilo negli Stati Uniti in attesa di sentenza. In questo senso, è chiaro che Trump, in vista del 2020, voglia intensificare le sue politiche.

Secondo Axios, Washington ha rimpatriato più immigrati questo anno fiscale di qualsiasi anno fiscale completo della presidenza Trump, ma non ha ancora raggiunto i livelli di espulsione avvenuti durante i primi anni dell’amministrazione Obama. Nel 2019, sono stati infatti rimpatriati 282.242 clandestini, quando nel 2012 le espulsioni avevano raggiunto quota 409.849 (per poi calare tuttavia drasticamente nel corso del secondo mandato di Obama).

Trump attende quindi per il momento una decisione del Congresso. La sua mossa potrebbe avere svariate spiegazioni. Il presidente potrebbe voler lasciare al Campidoglio la grana di risolvere un problema spinoso come quello migratorio. Oppure potrebbe trattarsi di una strategia machiavellica: aspettare il (probabile) fallimento delle trattative tra repubblicani e democratici, per aver poi le mani maggiormente libere nell’affrontare la questione.


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