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Così in Iran andiamo a sbattere. Le ultime mosse di Trump secondo Margelletti

Creare un nemico perché si hanno poche cose da dire è pericoloso. Non usa mezzi termini Andrea Margelletti, presidente del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, analizzando le tensioni tra Usa e Iran e i riverberi sul Golfo e sulla geopolitica mondiale. In questa conversazione con Formiche.net traccia il perimetro delle azioni e degli umori tanto verso Teheran quanto verso Gerusalemme, contribuendo a fare chiarezza su obiettivi e strategie anche in chiave Ue.

Paesi come Cina e Giappone, dice Donald Trump, dovrebbero pensare da soli a proteggere le loro navi nello stretto di Hormuz. Ha ragione?

Dipende da come si vede la questione. Se si vuol fare il gendarme del mondo allora bisogna anche assumersi responsabilità e oneri. Dall’altra parte non è neanche concepibile che vi siano una serie di nazioni che hanno le capacità per portare avanti alcuni tipi di attività ma le deroghino ad altri.

Mike Pompeo da Jeddah dove ha incontrato re Bin Salman ha twittato che la libertà di navigazione è fondamentale. Come evitare un’escalation?

Rispettando le regole. Come si fa a parlare di escalation se concludiamo degli accordi e poi ce ne andiamo nel momento in cui questi accordi sono rispettati? Come facciamo ad avere l’autorevolezza morale se poi creiamo le condizioni affinché in un Paese le realtà politiche con le quali avviare dialoghi diventano soggetti contrari? Il punto vero è: siamo sicuri che noi vogliamo la pace o cerchiamo, per il nostro consenso, di volere sempre dei nemici? Dato che la gente e la stampa hanno poca memoria e il mondo della comunicazione è ormai velocissimo, si tende a vedere l’ultimo avvenimento in ordine di tempo. Ma questo non va bene, perché per leggere attentamente l’ultimo avvenimento bisogna capire da dove è partito.

Quali scenari si aprono?

È pericoloso quel modo occidentale di fare politica dove si crea il nemico perché si hanno poche cose da dire, sperando sempre che i problemi vengano risolti da chi arriva dopo.

A che punto è il braccio di ferro Usa-Iran dopo il cyber attacco sferrato a Teheran?

Al punto di prima, perché il problema vero è che cosa si intende fare adesso. Attaccare l’Iran? Ok, ma quale l’understate? Il fatto che noi avevamo un accordo con l’Iran, che dopo è stato da noi affondato, ha permesso a Teheran di avere leadership politiche che guardino all’occidente come partner credibile o che dicano ‘avete visto cosa succede a fidarsi di loro’? Di questo dobbiamo discutere. Qui non è questione di essere a favore o contrari agli iraniani o agli americani: occorre dire se le nostre politiche sono nel nostro interesse o meno, finendo per farci del male.

Pompeo parla di “coalizione globale” contro Teheran dopo l’abbattimento del drone. Come reagirà l’Ue?

La politica Usa è simile a quella russa: non gradisce un’Unione Europea davvero unita e gli serve un’Ue debole, in maniera tale che si possa lavorare sulle singole nazioni. Per cui il problema non è Bruxelles. Mi chiedo: abbiamo un ministro degli esteri europeo? Abbiamo un governo europeo? Quando in buona parte dei paesi europei si sono svolte elezioni connotate da fortissime manifestazioni anti Ue, significa che gli europei sono i primi a volere un’Europa debole. Il che non vuol dire che l’Europa che abbiamo avuto fino ad ora vada bene così. Ma un conto è buttare tutto a mare, un conto è tentare di riformarla migliorandone la struttura.

Una partita che si intreccia con il Medio Oriente dove l’inviato di Kushner e Trump, Jason Greenblatt, sta cercando un accordo che possa sbloccare le proprietà per i palestinesi e la sicurezza per Israele. A cosa punta Washington?

Il piano è completamente privo di ogni senso, perché prevede una soluzione economica ad un problema prettamente politico. Discutiamo del nulla.

twitter@FDepalo



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