Un nuovo motivo di attrito rischia di incombere sulle già complicate relazioni che intercorrono tra Washington e Parigi. E, stavolta, al centro della diatriba sembrerebbe esserci finito il vino francese.
Durante un’intervista rilasciata ieri alla Cnbc, Donald Trump si è detto di fatto aperto alla possibilità di imporre dazi sull’importazione di prodotti vinicoli d’Oltralpe. “La Francia ci tassa molto per il vino. Eppure noi li tassiamo molto poco per il vino francese”, ha dichiarato il presidente americano, per poi aggiungere: “Così le cantine vengono da me e dicono,’ […] Signore, stiamo pagando un sacco di soldi per posizionare il nostro prodotto in Francia, e lei sta lasciando […] che questi vini francesi (che sono grandi vini, ma anche noi abbiamo ottimi vini) – entrino senza tasse. Non è giusto”. Trump ha quindi concluso promettendo di “fare qualcosa”.
Non si tratta d’altronde della prima volta che Trump minaccia tariffe contro il vino di importazione francese. Lo scorso novembre, il presidente americano – che possiede un’azienda vinicola in Virginia dal 2011 – si era già mostrato incline a questa linea. “Sul commercio, la Francia produce un vino eccellente ma anche gli Stati Uniti lo fanno” – aveva twittato. “Il problema è che la Francia rende molto difficile agli Stati Uniti vendere i propri vini in Francia e impone pesanti dazi, mentre gli Stati Uniti non mettono complicazioni alla Francia e impongono tariffe piccole. Non è giusto. Bisogna cambiare!”
L’accusa non fu propriamente ben accolta dalle parti dell’Esagono. E a criticare l’inquilino della Casa Bianca non furono soltanto gli ambienti vicini al presidente francese, Emmanuel Macron. Anche Gilbert Collard, politico vicino al Rassemblement National di Marine Le Pen, si espresse negativamente sulle affermazioni di Trump, dichiarando che il presidente americano era assolutamente in torto “su quanto detto in riferimento al vino francese”.
Stando a quanto riporta il consorzio californiano Wine Institute, lo Zio Sam applicherebbe una tassa di cinque centesimi ogni 750 millilitri di vino tranquillo importato e di quattordici centesimi sullo spumante. Tutto questo, mentre le tariffe dell’Unione Europea per l’import vinicolo andrebbero da undici a ventinove centesimi a bottiglia. A livello di consumo, gli Stati Uniti costituiscono il principale cliente per i produttori di vino europei, avendo assorbito quasi un terzo delle esportazioni afferenti al comparto nel 2017. Per contro, secondo Eurostat, gli Stati Uniti rappresenterebbero solo il 16% delle importazioni di vino dell’Unione Europea. Il punto è che, qualora Trump desse seguito alle sue minacce protezionistiche, nella guerra vinicola finirebbe coinvolta anche l’Italia. I dazi nel settore sono infatti disciplinati a livello di relazione tra Stati Uniti e Unione Europea. Ragion per cui, non sarebbe soltanto la Francia a fare le spese di un eventuale conflitto commerciale. Tra l’altro, non dimentichiamo che, un paio di mesi fa, Trump abbia messo nel mirino proprio il prosecco italiano, inserendolo nel pacchetto di prodotto di importazione europea da tassare in risposta alla questione Airbus. Il settore agroalimentare rappresenta infatti da tempo una preoccupazione per il presidente americano, visto che il comparto gli risulta fondamentale anche sul piano più squisitamente elettorale.
A livello generale, questo ennesimo scontro con l’Eliseo si inserisce nel più complicato quadro dei rapporti tra Stati Uniti e asse franco-tedesco. È dai tempi della campagna elettorale che Trump propone di sostituire il classico concetto di “free trade” (libero commercio) con quello di “fair trade” (commercio equo). È del resto in quest’ottica che il presidente statunitense ha spesso invocato il principio della reciprocità commerciale: lo ha fatto con la Germania nel settore automobilistico e lo sta facendo adesso con la Francia in quello vinicolo. Inoltre, al di là delle questioni meramente commerciali, è notorio che Trump non intrattenga rapporti troppo cordiali con Macron. Nonostante in un primo momento i due sembrassero quasi andare d’accordo, le relazioni si sono presto deteriorate. Numerosi risultano infatti i dossier divisivi: dagli accordi di Parigi sul clima all’Iran, passando per la proposta di creare un esercito europeo (principalmente sponsorizzata proprio dall’inquilino dell’Eliseo). Insomma, le parole cordiali che i due leader si sono scambiati pochi giorni fa in occasione dell’anniversario dello sbarco in Normandia sembrano già essere un lontano ricordo. Le scintille ricominciano. E la sintonia pare morta. Come l’albero dell’amicizia che i due presidenti piantarono alla Casa Bianca nel 2018.