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Cina e Russia sempre più vicine. Caracciolo (Limes) spiega le conseguenze

La visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca non è di semplice cortesia. Sancisce un riavvicinamento fra Russia e Cina che negli ultimi anni si è fatto sempre più tangibile. Tanti i fattori in gioco. L’amicizia fra Xi e Vladimir Putin non è fra quelli secondari. In sei anni sono stati 28 gli incontri fra i due leader, che ora in pubblico rivendicano i loro rapporti personali (Xi ha chiamato Putin, ancora una volta, il suo “più caro amico”).

Poi ci sono i numeri, rivelati con un guizzo d’orgoglio da Putin nella sua visita cinese di aprile: 100 milioni di dollari di interscambio soltanto nel 2018, un balzo in avanti del 24% rispetto all’anno precedente, non proprio spiccioli. Infine la diplomazia: Russia e Cina sono entrambe alle prese con l’assertività della Casa Bianca Donald Trump, che continua a soffocare i rispettivi mercati a suon di sanzioni e tariffe. Un motivo in più per ricostruire un asse russo-cinese che molti davano per spacciato.

Andiamo per ordine. Lo facciamo con Lucio Caracciolo, fondatore della rivista di geopolitica Limes e accorto osservatore della politica internazionale. La prima e più rilevante notizia che giunge dal Cremlino riguarda Huawei, il secondo fornitore al mondo di cellulari con base a Shenzen che da mesi è al centro di una offensiva commerciale globale a guida statunitense con l’accusa di spionaggio e dipendenza politica da Pechino.

A margine del bilaterale Xi-Putin, Huawei ha firmato un accordo con la compagnia telefonica russa MTS per sviluppare la rete 5G l’anno venturo. Messo all’angolo dall’amministrazione Trump, che ha di recente firmato un ordine esecutivo (sospeso per tre mesi) che vieta alle aziende americane di fare affari con Huawei, il gigante della telefonia mobile ha trovato le porte del Cremlino aperte. “Un passo importante, non c’è dubbio – commenta con Formiche.net Caracciolo – ma Huawei rimane in una situazione molto critica e rischia di non riuscire più a reggere il confronto con i sudcoreani di Samsung”.

Quello con Huawei è solo uno dei trenta accordi commerciali e intergovernativi firmati dalla delegazione al seguito di Xi, assieme a due dichiarazioni congiunte sul partneriato Cina-Russia. Oggi la Cina ha scavalcato la Germania come il più grande partner economico della Russia, che spedisce nel Dragone il 15% delle sue esportazioni. Come spesso succede con i cinesi, la bilancia commerciale non è proprio in equilibrio. Pechino infatti esporta in Russia solo l’1,49% dei suoi beni, preferendo i mercati europeo e statunitense.

Tra i beni russi acquistati dai cinesi spiccano legno, carbone, petrolio ma soprattutto il gas. “È questo il nodo centrale delle trattative commerciali”, spiega Caracciolo. “Il gasdotto Power to Siberia è uno snodo rilevantissimo per la fornitura di gas ai cinesi: un condotto di 4000 km che parte dalla Yakuzia e arriva in Asia, gestito insieme da Gazprom e la China National Petroleum Corporation. Anche se il primo mercato per il gas russo rimane di gran lunga l’Europa“. Il tour della delegazione cinese finirà con la partecipazione al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo (Spief), la kermesse annuale ribattezzata come “Davos russa” che riunisce imprenditori, capi di Stato e di Governo da tutto il mondo.

L’economia corre sullo sfondo del bilaterale all’ombra del Cremlino. La visita di Xi però si carica di una profonda valenza geopolitica. A sottolinearlo è lo stesso Global Times, quotidiano anglofono del Partito comunista cinese, che alla vigilia ha parlato di una relazione “profondamente radicata negli interessi nazionali dei due Paesi”. Cina e Russia, scrive il tabloid, “hanno una comprensione strategica simile del mondo, condividono molti interessi comuni e sono complementari l’una all’altra”. Il rinnovato asse Pechino-Mosca non è nato certo oggi, spiega Caracciolo. “È un riavvicinamento che affonda le sue radici nella crisi ucraina e nell’annessione della Crimea nel 2014. Quando Putin ha capito che non c’era spazio per una vera intesa con l’Occidente e che gli Stati Uniti sarebbero rimasti un nemico non gli è restato che recarsi in Cina con il cappello in mano offrendo gas in cambio di un’alleanza più robusta”.

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