Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

In Yemen si muore. Ma l’Italia se la prende con l’Arabia Saudita e non vede l’Iran

Il Parlamento italiano torna a parlare del conflitto in Yemen, dopo l’escalation delle ultime ore con gli attacchi dei ribelli Houthi. L’attenzione sembra però troppo su Riad. Lega e M5S presentano una mozione di maggioranza alla Camera che impegna il governo a fermare le “esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen” (negoziati che stanno procedendo lentissimamente a Stoccolma). Nel lungo periodo, l’obiettivo sarebbe quello di “creare iniziative finalizzate alla futura adozione, da parte dell’Unione Europea, di un embargo mirato sulla vendita di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, prevedendo al contempo consultazioni con gli altri Stati membri dei consorzi internazionali in relazione ai programmi di coproduzione industriale intergovernativi attualmente in essere”.

LE MOZIONI

È una mossa forte, confluita in una mozione che appare comunque equilibrata rispetto alla delicatezza del dossier. In precedenza, LeU e Pd avevano presentato le proprie mozioni, invitando a sospendere le esportazioni di tutti gli armamenti “utilizzabili nel conflitto”. La versione di maggioranza sposta il focus sugli aspetti umanitari, specificando la tipologia di armamenti (bombe d’aereo e missili) e la loro eventuale utilizzabilità “per colpire la popolazione civile”, tra l’altro in linea con altri Paesi europei. Si tratta in ogni caso di armamenti prodotti principalmente nella sede sarda della Rwm Italia Spa (a Domusnovas, SU), una società di proprietà della tedesca Rheinmetall Defence. Le mozioni seguono un trend che dura da diversi anni, e non solo in Italia. La scorsa settimana, restando all’attualità, il governo inglese ha deciso di sospendere la vendita di armi ad Arabia Saudita ed Emirati dopo una sentenza della Corte d’Appello ha dichiarato illegale la procedura finora seguita – Downing Street ha fatto sapere di non condividere il verdetto e annunciato l’intenzione di fare ricorso.

Sempre la scorsa settimana il Congresso statunitense è tornato sull’argomento votando contro un’iniziativa con cui l’amministrazione aveva aperto dei canali preferenziali per alcuni contratti specifici di forniture ai sauditi: l’esecutivo Usa tirava in ballo la necessità delle forniture necessarie visto le attività iraniane, i congressisti hanno votato comunque lo stop della procedura in forma bipartisan; la Casa Bianca probabilmente metterà il veto. Il Congresso americano – ma anche i parlamenti di altri paesi in Europa (Berlino ha deciso la chiusura dei rapporti già a ottobre, sull’onda del caso Khashoggi) – ha già votato per sospendere le forniture di armi ai sauditi, e Donald Trump ha già messo il veto. Il motivo di queste decisioni parlamentari si lega alle continue denunce sulla situazione umanitaria in Yemen, dove si susseguono bombardamenti su obiettivi civili per mano saudita-emiratino e l’interruzione dei ponti dei soccorsi.

LA SITUAZIONE IN YEMEN

La guerra ha prodotto 3,3 milioni di rifugiati e oltre i due terzi della popolazione in necessità di aiuti alimentari e igienico-sanitari. La situazione nel paese è molto complessa: una coalizione a guida saudita-emiratiana è intervenuta nel 2015 per cercare di respingere la ribellione degli Houthi, un gruppo organizzato di combattenti che dal nord del paese è sceso fino alla capitale Sanaa e ha rovesciato il governo. Nonostante una supposta superiorità tecnologica, i militari del Golfo hanno dimostrato un’impreparazione tale da non essere stati in grado di respingere l’offensiva ribelle in quattro anni di conflitto. L’interesse saudi-emiratino è legato all’influenza su quel territorio: i due paesi del Golfo la considerano un’area dal valore logistico-strategico perché si affaccia sul Mar Arabico, confina con l’Oman e forma il Golfo di Aden in una delle strettoie principali della regione, Bab al Mandab, lo stretto che chiude il Mar Rosso da cui passano i carichi marittimi da e per Suez – che per esempio è la porta d’ingresso del Gnl emiratino in Europa e Abu Dhabi non può permettersi di non averne il controllo e rischiare che le sue imbarcazioni finiscano sul mirino dei missili anti-nave come già successo alla “HSV2 Swift”). Ma non c’è solo la questione talassocratica: per gli stati sunniti del Golfo, la guerra in Yemen è diventato un altro (forse attualmente il principale) terreno di scontro proxy con l’Iran. E Teheran non disdegna un appoggio agli Houthi basato su questioni di carattere ideologico e strategico.

In queste settimane in cui il confronto tra Stati Uniti e Iran è cresciuto di livello – con l’aumento delle pressioni americane e le reazioni scomposte con sabotaggi a petroliere e l’abbattimento di un drone da parte degli iraniani – è cresciuto anche il livello d’ingaggio dei ribelli yemeniti contro l’Arabia Saudita. Riad e Abu Dhabi sono i motori della strategia severa con cui Washington tratta la politica regionale di Teheran, e lo Yemen è un elemento di intersezione. Due giorni fa, in un attacco lanciato dagli Houthi è stato colpito di nuovo l’aeroporto di Abha, una città saudita sulla costa del Mar Rosso, e Jizan (poco a sud) uccidendo un civile siriano e ferendo altre 21 persone. Abha è il centro di questo genere di attacchi, che nelle ultime settimane sono stati eseguiti anche utilizzando dei droni killer progettati dai Pasdaran iraniani (ed elaborati dai ribelli in Yemen sotto il nome di Qasef-2K: sono progettati per esplodere a 20 metri dal suolo e diffondere frammenti di ferro, biglie o vetro in un vasto areale: lo scopo non è tanto uccidere quanto ferire in modo profondo i nemici, perché un’amputazione o un danno permanente sono peggiori di una morte).

I MISSILI, LA FAME E I “POLITICA TOOL”

Ma non solo: missili balistici derivati dalla componentistica degli Scud sono spesso lanciati dallo Yemen verso il territorio saudita – i sauditi dicono che le parti per assemblare quei missili vengono inviate in Yemen dall’Iran, ma Teheran nega, però c’è anche il sospetto che il dossier sia gestito dai Pasdaran indirettamente, ossia attraverso gruppi affiliati regionali, le cosiddette forze proxy come la libanese Hezbollah, che si occuperebbero di rifornimenti, training e assistenza. Il più delle volte gli Scud vengono intercettati dai sistemi di protezione aerea che i sauditi hanno comprato dall’Occidente e sistemato nei dintorni della aree più popolate e delle infrastrutture critiche, ma a volte no – e con i droni questo diventa ancora più complicato. Human Rights Watch – che si occupa con costanza di monitorare le operazioni di guerra saudite e gli errori, per scarsa preparazione, per foga o per dolo, che colpiscono i civili – il 12 giugno ha definito un “crimine di guerra” l’attacco con un missile balistico sempre ad Abha. Quella volta ha colpito il terminal arrivi dell’aeroporto ferendo 26 civili, tra cui due bambini.

Su queste azioni di guerra c’è un sostanziale silenzio sia nel parlamento italiano che altrove, perché si è costruita una percezione alterata della situazione nel paese, dove gli Houthi – ribelli indipendentisti del nord – hanno aperto il conflitto, rovesciato il governo eletto (guidato dal presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi con tutti i suoi problemi interni, non ultimo la corruzione) e aperto la strada alla caoticizzazione del paese, che ha prodotto il rafforzamento delle forze qaediste nelle province meridionali e la nascita di una componente baghdadista. Le vittime civili fatte dai sauditi e quelle degli Houthi sono due facce della stessa medaglia: una guerra devastante.

Ieri il portavoce del World Food Programme dell’Onu ha detto che i combattenti Houthi hanno bloccato i convogli che avrebbero dovuto portare 8mila tonnellate di aiuti umanitari attraverso il porto di Hodeidah “ad oltre centomila famiglie”. I ribelli avrebbero deciso di bloccare i carichi perché temevano che il sistema di tracciamento che l’Onu utilizza per ragioni di sicurezza avrebbe fornito informazioni sulle aree da colpire con i raid in una delle zone più contese del fronte. Ma su operazioni di questo tipo c’è anche un interesse infimo: affamare la popolazione per incolpare l’avversario; una tecnica usata in precedenza anche dai sauditi. Inoltre, secondo una stima del Wfp, oltre il dieci per cento del cibo mensilmente inviato nelle aree controllate dagli Houthi è requisito dai ribelli e rivenduto al mercato nero per finanziare il conflitto. In Yemen il cibo, dice l’organismo Onu, è diventato un “political tool” che attira molta attenzione e altera le ricostruzioni.

×

Iscriviti alla newsletter