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Hormuz, petrolio e nucleare. Le mosse dell’Iran spiegate da Alcaro (Iai)

La britannica “Stena Impero” è ferma davanti Bandar Abbas, bloccata dai Pasdaran; l’iraniana “Grace 1” ferma a Gibilterra dopo uno stop inglese. Nel mezzo due droni abbattuti, in un pericolosissimo uno a uno nel confronto del Golfo tra Usa e Iran. Un quadro complesso che Formiche.net analizza con Riccardo Alcaro, Responsabile del programma “Attori globali” dello IAI, esperto del dossier iraniano.

Come siamo arrivati a questa situazione di tensione nel Golfo Persico?

La causa strutturale è naturalmente l’ostilità che caratterizza le relazioni tra Stati Uniti ed Iran da quando una rivoluzione di popolo nel 1979 depose lo scià di Persia, un autocrate pro-americano, e diede il via al processo culminato nella creazione della Repubblica islamica. Ma la causa più prossima è la decisione nel maggio 2018 del Presidente Trump di violare l’accordo nucleare del 2015 e adottare un regime di sanzioni draconiano, comprensivo di misure extra-territoriali, che hanno di fatto forzato un embargo sull’Iran, ora incapacitato anche ad esportare idrocarburi (se non alla Cina, l’unico stato che continua ad acquistare petrolio dall’Iran).

Che cosa ha innescato la fase attuale, con lo sfogo del dossier iraniano — partito dalle questioni attorno all’accordo sul nucleare — sul traffico delle petroliere?

La decisione dell’amministrazione Trump, a maggio di quest’anno, di revocare l’esenzione dalle sanzioni americane a otto stati a cui ancora concedeva di importare petrolio iraniano ha fatto precipitare la situazione. Da quel momento abbiamo visto le tensioni aumentare nel Golfo. L’Iran sta dimostrando che è in grado di provocare guai al trasporto di idrocarburi nello Stretto di Hormuz, da cui passa un terzo di tutto il petrolio esportato via mare nel mondo. È un gioco pericoloso, perché gli americani potrebbero infine sentirsi obbligati a intervenire militarmente, e questo potrebbe generare un’escalation incontrollabile. Ma gli iraniani contano sul fatto che Trump è ostile a un nuovo intervento militare in Medio Oriente, e che pertanto la prospettiva di restare impigliato in un’ennesima avventura militare potrebbe portarlo a rivedere la politica di massima pressione e allentare la morsa.

E al centro del confronto in questo momento ci sono le petroliere…

Nello specifico, la cattura della nave cargo britannica è una rappresaglia diretta contro la cattura da parte delle forze navali britanniche di una nave cargo iraniana nello Stretto di Gibilterra. I britannici dicono che non avevano altra scelta perché la nave era suppostamente diretta in Siria, che è sotto un blocco Ue di importazioni petrolifere. Ma non è chiaro se la cattura sia avvenuta in acque internazionali. In ogni caso, è una scelta che manifesta i limiti della politica di difesa dell’accordo nucleare da parte di Londra.

Perché?

Londra non è pronta a mettersi di traverso alla politica americana, almeno non in modo plateale. In un’altra epoca forse i britannici avrebbero chiuso un occhio, considerando che creare un altro pasticcio con l’Iran in questo momento rischia di legittimare la politica di massima pressione Usa e mettere l’Iran nella condizione di dover abbandonare l’accordo nucleare, che pure è un vitale interesse strategico del Regno Unito e dell’Unione Europea nel suo complesso.

A proposito dell’accordo, perché Teheran ha deciso di violare, sebbene in mondo controllato e reversibile, alcuni paletti fissati dal Jcpoa?

Dopo aver atteso invano per un anno che le altre parti del Jcpoa, e cioè Europa, Russia e Cina, compensassero in qualche modo la “perdita” degli Usa, gli iraniani hanno abbandonato la politica di “pazienza strategica” e adottato una di “limitato scontro strategico”. Quest’ultimo include sia i sabotaggi nelle acque del Golfo (che gli iraniani negano però) sia la graduale riduzione dell’osservanza dell’accordo da parte iraniana. Le misure prese finora sono, dal punto di vista dei rischi di proliferazione, irrilevanti e facilmente reversibili. Ma sono un modo per mettere pressione a Europa, Russia e Cina perché difendano l’accordo nucleare coi fatti e non solo con le parole.

Che cosa sta facendo l’Iran?

L’Iran sta procedendo secondo uno scadenzario preciso: ogni 60 giorni ridurrà progressivamente la sua adempiendo all’accordo. Lo scopo è quello di far funzionare l’accordo erodendo l’efficacia della politica Usa di massima pressione. Ma di nuovo è un gioco pericoloso, perché gli europei potrebbero a un certo punto sentirsi obbligati a riconoscere che l’Iran è in violazione dell’accordo e far riscattare le sanzioni. A quel punto l’Iran abbandonerebbe l’accordo e ci troveremmo in una situazione peggiore di quella precedente, perché la via diplomatica sarebbe stata provata senza successo.

Su cosa punta Teheran?

L’Iran conta sul fatto che gli europei non vogliano essere quelli che danno il colpo di grazia al Jcpoa, che giustamente considerano il principale successo di politica estera dell’Europa. Ma non sono sicuro che la leadership europea abbia la lungimiranza e il coraggio di capire che piegarsi, anche indirettamente, alla belligeranza anti-iraniana di un presidente Usa che è profondamente ostile all’Ue sia un colossale errore. La scelta per gli europei è obiettivamente difficile: ma tra una crisi transatlantica riassorbibile e la perdita degli enormi vantaggi apportati dall’accordo nucleare — salvaguardia del regime di non proliferazione nucleare, allentamento del rischio di un altro conflitto in Medio Oriente, e promozione di una politica estera europea autonoma — l’Europa dovrebbe puntare a evitare la seconda, non la prima.

Un peso sul futuro dell’accordo e in generale della crisi può averlo Mosca: come possono collaborare Ue e Russia per salvaguardare l’accordo e ciò che rappresenta?

Continuare a difendere il Jcpoa e condannare in maniera meno equivoca il ritiro americano. Cooperare nel fornire all’Iran la necessaria assistenza tecnica nucleare per osservare i termini dell’accordo. Mettere a disposizione l’una dell’altra le soluzioni per aggirare le sanzioni extraterritoriali americane.

Si parla anche della possibilità di includere la Russia in Instex, il meccanismo europeo di facilitazione del commercio Ue-Iran. È un giusto passaggio?

Per me è quello che non va fatto. Instex è al sicuro dalle sanzioni americane perché facilita commercio in beni non sanzionati dagli Usa (cibo, medicine e apparecchiature mediche soprattutto) e va lasciato funzionare al riparo dal rischio che gli Usa gli si mettano contro. Ma Instex può funzionare da modello per altri tipi di meccanismi simili che facilitino il commercio anche di beni sanzionati dagli americani, a partire dal petrolio. I russi, se sono seri nella difesa dell’accordo, dovrebbero sviluppare un loro sistema, con l’aiuto e la consulenza degli europei. Così pure deve fare la Cina, a cui però va riconosciuto il merito di aver tenuto l’Iran dentro l’accordo con la decisione di continuare ad acquistare petrolio.

 



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