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M5S si è rimesso in gioco, stavolta la crisi sembra vera. Parla Panarari

“Tra i tre leader di questo governo, Giuseppe Conte è colui il quale è riuscito ad affrancarsi da quella che inizialmente sembrava una posizione unicamente da terzo incomodo, da semplice notaio dei due azionisti di maggioranza. E adesso, se come io penso, il populismo non sarà un incidente di percorso delle democrazie liberali ma un modus che ne condizionerà il futuro, potrà svolgere un ruolo rilevante in quel mondo anche per le sue naturali attitudini a muoversi con le giuste forme nei percorsi istituzionali”. Conte, per usare un termine desueto, come una riserva della Repubblica.

L’analisi è di Massimiliano Panarari, politologo, studioso e attento osservatore della politica e della comunicazione politica. Con lui, Formiche.net prova a delineare lo spessore politico del presidente del Consiglio e nel contempo a cercare di comprendere come possa evolversi l’ennesimo punto di rottura della maggioranza Lega-M5S.

Prima, però, un piccolo passo indietro. Riserva della Repubblica ma non solo, per Giuseppe Conte. Visto che domenica Eugenio Scalfari ha dedicato a lui il suo tradizionale editoriale. Ha scritto: “Conte è l’espressione di una maggioranza di centrodestra ma potrebbe subordinare questa sua scelta agli interessi generali del Paese. La sinistra immaginata da Zingaretti che non è naturalmente solo, anzi è affiancato da un gruppo dirigente notevole, potrebbe creare un’altra soluzione in un Paese che ha visto molte di queste mutazioni maggioritarie”.

Panarari ricorda che “storicamente, Eugenio Scalfari ha svolto un ruolo di king maker nella politica italiana, da De Mita a Berlinguer. Lo scalfarismo ha un’eredità di lunga durata, con i suoi autorevoli interventi ha influenzato e condizionato nuove configurazioni politiche in linea con il ruolo importantissimo che ha esercitato nella vita pubblica italiana”.

VERA CRISI?

E proprio oggi Matteo Salvini ha detto che dopo questo governo può esserci soltanto il voto (a meno di mutazioni maggioritarie, ndr). Siamo per l’ennesima volta sul limite del precipizio che mai avverrà o qualcosa è cambiato?

“È difficile dirlo. Rimanendo ai dati di fatto – risponde Panarari – bisognerebbe avere un insight nelle famose stanze dei bottoni. Al di là di sapere che cosa effettivamente stiano decidendo, la prima cosa che si può constatare è che, passati i primi due, tre mesi di questo governo, sono emerse un crescendo di conflittualità in termini di polarizzazione attorno a ragioni comunicative, con un posizionamento volto a occupare di volta in vota la totalità dello spazio politico, a ridurre l’agibilità delle opposizioni, costruendo constituencies inseparabili sul modello di ‘fratelli coltelli’ o ‘parenti serpenti’ con ruoli che venivano occupati a seconda delle circostanze”.

Quindi un posizionamento tanto politico che comunicativo.

“Sì, politico riferito ai rispettivi bacini elettorali. Comunicativo nell’assumere posizioni che garantivano la più ampia copertura mediatica possibile nel dibattito pubblico. Attraverso, ad esempio, il ricorso alla produzione costante di notizie che impedissero di parlar d’altro, in modo che il governo fosse costantemente al centro dell’attenzione e che le opposizioni così non ricavassero spazi. Una sorta di arma di distrazione di massa giocata su conflitti simbolici che coprissero questioni e temi politici che sono sempre stati annunciati e mai risolti né tantomeno affrontati”.

A BRUXELLES QUALCOSA È CAMBIATO

Adesso, però, secondo Panarari è avvenuto e sta avvenendo qualcosa di nuovo: “Quanto successo a Bruxelles con l’elezione di von der Leyen alla presidenza della Commissione europea rappresenta uno scartamento rispetto al passato, configura un elemento di conflitto obiettivo. Il M5S è riuscito in uno dei suoi giochi preferiti: il camaleontismo, e adesso si accredita come forza di peso in Europa. Il Movimento è riuscito virtuosamente a modificare la propria posizione, rimettendosi in gioco in maniera significativa. Ma lo ha fatto giocando in proprio e non come partner del governo di cambiamento”.

Insomma forse per la prima volta Salvini è un leader oggettivamente in difficoltà.

“Fin qui – prosegue Panarari – attraverso un gioco di triangolazioni le tre figure di leader di questo governo hanno di volta in volta giocato partite personali. Partite fortemente condizionate da scenari di partito, per quel che riguarda Di Maio e Salvini, e comunque sempre legate all’esigenza, oggi ineludibile in politica, di mostrarsi come uomini forti dall’atteggiamento carismatico. Legate alla capacità di presentarsi come il mister Wolf della situazione oppure, rimanendo a Conte, come l’avvocato del popolo. Oggi, ricordiamolo sempre, il tema della leadership è centrale”.

CONTE UNICO A SAPER PARLARE IL LINGUAGGIO DELLE ISTITUZIONI

Per Panarari “Conte è riuscito con grande abilità ad affrancarsi dalla condizione di terzo incomodo, o di semplice notaio, e ha deciso di ritagliarsi un ruolo rilevante. Il paradosso è che il primo governo interamente populista dell’Europa occidentale ha avuto come presidente del Consiglio un tecnico, o se vogliamo un super tecnico, in grado di relazionarsi con l’establishment essendo di fatto anche lui establishment. Nei rapporti istituzionali, le forme sono ovviamente importanti e Conte ha dimostrato di conoscere quelle forme, di sapersi muovere, di conoscere il galateo della politica, di essere in linea con quegli universi istituzionali cui sono programmaticamente estranei sia Di Maio sia Salvini”.

Quindi Conte potrebbe avere un futuro politico.

“Mai dire mai – risponde Panarari -. In termini di lettura del reale, sembrerebbe di no. Però c’è il grande tema del futuro dei 5 Stelle, bisognerà capire quale identità si daranno, come si muoveranno, se e come si spacchetteranno. In questi movimenti, nell’ottica transitoria di una istituzionalizzazione del Movimento, la figura di Conte è naturalmente vocata a svolgere un ruolo centrale”.

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