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La conquista cinese dell’Oceano Indiano passa dalla Cambogia

Il Wall Steet Journal ha informazioni molto interessanti riguardo a un accordo segreto che il governo di Pechino ha stretto con la Cambogia per permettere alla Cina di usare e sviluppare la base di Ream come propria installazione permanente extraterritoriale. Sembra quasi inutile aggiungere che così facendo il Dragone marcherebbe ulteriormente, col peso della dissuasione, la sua espansione nel Sudest Asiatico.

IL PIANO EGEMONICO CINESE

Un piano egemonico che — come tutte le situazioni in cui un qualche attore intende pressare per l’egemonia regionale — non è gradito agli Stati Uniti. Le preoccupazioni statunitensi non sono nuove, e riguardano in generale l’espansione cinese anche (o soprattutto) attraverso il progetto della Nuova Via della Seta, che sta diventando sempre più globale. Gli accordi con Sri Lanka, Pakistan (dove la base navale di Gwadar è una certezza nella nuova strategia cinese) e Myanmar, vengono considerati dagli Usa come proxy per arrivare anche alla costruzione di basi militari cinesi sparse per il continente asiatico. Simili a quella di Gibuti, dove la fine settentrionale del Corno d’Africa stringe Bab al Mandab, ossia su aree strategiche. È il piano che va sotto il nome di “collana di perle”.

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E la Cambogia, un paese che ottiene tre quarti dei suoi investimenti dalla Cina, è uno dei partner più affidabili per questo genere di progetto. Non a caso già lo scorso anno, l’amministrazione Trump aveva scritto una lettera, firmata dal vicepresidente Mike Pence, al primo ministro cambogiano, Hun Sen, esprimendo le preoccupazioni americane per un possibile accordo, di cui il premier asiatico aveva negato successivamente l’esistenza in una risposta (vista in esclusiva dalla Bloomberg), aggiungendo che non avrebbe permesso che il suo paese finisse di nuovo in mezzo a rivalità che l’avrebbero trasformato ancora in un terreno per una proxy-war (vedi Guerra del Vietnam).

LA MOSSA (INASCOLTATA) DEGLI USA

Il mese scorso, Joseph Felter — vice segretario al Pentagono con delega al Sudest Asiatico — ha scritto al ministro della Difesa cambogiano, Tea Banh, per chiedere come mai il suo governo avesse rifiutato l’offerta americana (arrivata dopo una richiesta di gennaio) per effettuare lavori di sistemazione a Ream. Risposta: non serve più (perché?). Lo scorso mese, alla conferenza sulla sicurezza a Singapore, il ministro della Difesa cinese, Wei Fenghe, ha negato che Pechino abbia intenzione di piazzare una base in Cambogia, e il portavoce del governo asiatico ha detto che si tratta di paranoie americane simili alle armi di distruzione di massa in Iraq.

Però, secondo i funzionari statunitensi e alleati con familiarità sulla questione che hanno parlato al WSJ, pare che la Cina abbia già firmato l’accordo con cui Phnom Penh consente all’Esercito Popolare di Liberazione di utilizzare la base della marina cambogiana sul golfo del Siam. Pechino otterrebbe un passaggio importante nel progetto di rafforzare la sua capacità di proiettare la propria forza, anche militarmente, in tutto il mondo.

IL PATTO TRA CAMBOGIA E CINA

Il patto — che sarebbe stato siglato in primavera, ma non divulgato da nessuna delle due parti vista la sensibilità — conferisce alla Cina diritti esclusivi sull’installazione navale. Per entrare nella sezione cinese della base, per esempio, la Cambogia dovrà ottenere l’autorizzazione da Pechino. La bozza dell’accordo di cui parla il WSJ dice che la Cina costruirà due nuovi moli, uno per sé e uno per i cambogiani.

Il posizionamento dell’avamposto è ottimale. Per esempio, non lontano, a Dara Sakor, una società cinese sta costruendo un grande aeroporto che sarà utilissimo per le interconnessioni. Un investimento da 3,8 miliardi di dollari che garantisce 99 anni la proprietà cinese dell’infrastruttura da 10 milioni di passeggeri tramite l’uso di una società a controllo statale. È pronta una pista da 3,4 chilometri per la quale non è escluso l’uso duale militare-civile. Là — la penisola dove si trova il parco nazionale di Boutum Sakor — i cinesi stanno sviluppando anche un polo industriale prossimo a un resort di lusso aperto nel 2014 e progettano di implementare un altro, grosso scalo marittimo in cui attraccano navi da crociera e da cui far partire collegamenti ferroviari ad alta velocità per la capitale e per Siem Reap, la principale metà turistica (il 13 per cento del turismo in Cambogia è rappresentato da cinesi). Sul complesso anche la scorsa settima un funzionario americano dipingeva anonimamente le preoccupazioni di Washington dalle pagine tattiche del Japan Times.

LE CONSEGUENZE SULL’AREA

Allargando lo zoom al quadrante regionale, la base in Cambogia permetterebbe alla Marina cinese di avere un migliore ambiente operativo nel Sudest Asiatico, perché sarebbe uno scalo (già praticamente pronto) nella regione dove la Cina vuole strutturare il proprio perimetro di sicurezza. Inoltre, se mai il canale di Kra in Tailandia (la via con cui si dovrebbe aggirare lo stretto di Malacca) dovesse essere costruito, la base di Ream servirebbe a protezione del fianco orientale del taglio nevralgico.

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Una sommatoria di circostanze per cui non sono solo gli Stati Uniti, ma anche i tailandesi e gli indiani e i vietnamiti, a essere preoccupati di questa penetrazione cinese (l’isola vietnamita di Phu Quoc sarebbe vicinissima alla base cinese, e per questo Hanoi potrebbe riconsiderare il permesso alla marina americana di tornare a Cam Ranh Bay).

Con Gibuti a ovest, Gwadar al centro e Ream a est, Pechino avrebbe un affaccio perimetrale su tutto l’Oceano Indiano — che è una regione che per Washington è importantissima  tanto che il comando che prima copriva il Pacifico ha ricevuto lo scorso anno l’upgrade strategico in IndoPacific Command.

(Foto: Wikipedia, americani e cambogiani a Ream, nel 2012)

 

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