La situazione a Hong Kong – dove da settimane si muovono proteste contro l’eccessiva cinesizzazione del paese, mosse inizialmente da una controversa legge sulle estradizioni che avrebbe limitato la parziale indipendenza dell’isola – è a un livello di criticità delicato. Il ministero della Difesa cinese non ha escluso l’invio di soldati verso il Porto Profumato, usando un cavillo legale che autorizzerebbe Pechino all’uso della forza in caso dovesse essere messa in discussione la stabilità del modello “un paese, due sistemi” con cui viene amministrata l’isola dalla cessione inglese – e che deve essere garantito fino al 2047 (stampa libera, società civile, legislatura parzialmente eletta, magistratura indipendente, stato di diritto).
LA GREATER BAY AREA
Al di là dei fatti di cronaca, però va costruito un contesto per comprendere come mai il Dragone tiene particolarmente a cuore il futuro del paese (al di là del significato storico politico, ovviamente) e perché invece gli Stati Uniti sono un attore così assertivo sulle dinamiche attuali (al di là, altrettanto ovviamente, dell’uso delle stesse come proxy per portare a nudo le incongruenze del sistema-potere cinese). C’è un elemento che fa da connessione completa tra i vari punti del quadro complesso e complicato dietro alla crisi hongkonghese: la Greater Bay Area, quella che in un futuro prossimo sarà la più grande area di sviluppo tecnologico nel mondo e che comprenderà il quadrante che va da Hong Kong, Macao e la provincia cinese di Guangdong (con le città di Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Zhongshan, Jiangmen, Zhaoqing, Foshan, Dongguan e Huizhou).
IL PONTE E L’ALTA VELOCITÀ
Un articolato sistema geopolitico dal potenziale enorme, alla foce del Fiume delle Perle, affacciato sulle rotte nevralgiche del Mar Cinese Meridionale, che ha già due lineamenti fisici operativi. Il primo è il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao (un collegamento da 55 chilometri, costato 20 miliardi di dollari, che lega di fatto la Cina continentale alle due province autonome, un’infrastruttura che ha anche un valore spirituale mentre sta cercando di superare le difficoltà nell’integrazione delle tre entità politiche e doganali attraversate). L’altra è l’alta velocità di Hong Kong (la ferrovia che dovrebbe tagliare il sistema doganale dalla Cina, ed è un grosso elemento di controllo per Pechino, che sa di poter giocare con l’isola la carta dell’immigrazione).
QUALE FUTURO
La Greater Bay Area – lanciata nel 2017 e operativa dal 18 febbraio, sotto la supervisione di Han Zheng, un membro del comitato permanente del Politburo, il principale organo di comando del partito comunista cinese – dovrebbe anche diventare il principale motore dietro al macro-progetto del presidente Xi Jinping “Made in China 2025”. Ossia l’idea di far diventare la Cina leader globale del mondo dell’hi-tech entro il 2025. Programma di investimenti in vari settori (da Internet all’AI, dall’aerospazio alle infrastrutture marittime, dalle scienze dei materiali e biotecnologie alla robotica industriale) che va a scontrarsi con gli Stati Uniti, che da decenni detengono il primato tecnologico, settore cruciale che è alla base del confronto tra potenze a cui stiamo assistendo in questi anni.
LE TANTE CINE DI WASHINGTON
E gli Stati Uniti, davanti a quel quadrante regionale dalle potenzialità pazzesche, percepiscono la realtà di contesti regionali a sfondo globale dove la forza intercontinentale americana (la dissuasione che va dai mari profondi allo spazio appoggiata dal potere economico del dollaro) viene meno, senza possibilità di sorta. È sotto quest’ottica che alcuni analisti sostengono che l’America preferisca avere più Cine – Hong Kong, Macao, Taiwan – piuttosto che una Cina unica, unita, come secondo il pensiero strategico cinese. Perché la frammentazione permette a Washington di trovare spazi di maggiore manovra e terreni di competitività superiore. Lo scopo è esattamente opposto a quello della Greater Bay Area, ovvero l’obiettivo di realizzare un’area di ventunomila miglia quadrate , che coinvolge quasi 70 milioni di persone e undici metropoli e in cui costruire un unico centro industriale, economico e commerciale integrato che si lancerebbe in diretta concorrenza con quelli nella baia di San Francisco (sfogo della Silicon Valley) e di Tokyo. Un progetto che supera gli aspetti della zona economica speciale, E che per esempio per Hong Kong rappresenta un elemento d’inclusione in un contesto che faciliterebbe a Pechino i processi di centralizzazione – sebbene, come nel caso della Belt & Road Initiative, anche la GBA si presenta come una spinta all’integrazione regionale che dovrebbe avere solo buoni propositi fuori dalla sfera politica.
L’IRRINUNCIABILE HONG KONG
Il polo che la Cina vuole creare attorno a Hong Kong, che rende dunque le dinamiche dell’isola un interesse irrinunciabile, avrebbe delle dimensioni ciclopiche. Qualche esempio: il porto di Hong Kong sommato a quello di Shenzen (città della Cina continentale inclusa nel progetto e già centro tecnologico di eccellenza) ha un volume di movimenti combinato quattro volte superiore a quelli di New York, Tokyo e San Francisco messi insieme. Hong Kong, Guangzhou e Shenzhen sono tre dei porti container tra i dieci più trafficati al mondo. Ancora: Hong Kong tra poco avrà il più grande aeroporto del mondo (quando nel 2023 verrà concluso il terzo terminal, hub di Cathay Pacific), e nell’isola c’è un mercato finanziario che se sommato a quello di Shenzen supera per dimensioni Tokyo e decuplica Singapore (dati Ispi). L’area della GBA ha generato, nel 2017, oltre 1500 miliardi di Pil (per raffronto, nello stesso anno la Spagna ne generava 1311, l’Italia 1935, la Russia 1578), ossia circa il 12 per cento del prodotto interno lordo cinese (dati Xinhua); secondo HSBC, nel 2025 l’economia della regione arriverà a 2800 miliardi (una dimensione che farebbe essere la regione tra i primi sei Pil globali). L’area conta già 270 distretti industriali nel Guangdong che nel 2017 hanno esportato 670 miliardi di dollari di merci, primato mondiale. Sono compresi tra gli altri i colossi delle telecomunicazioni Huawei e Zte, l’avveniristica industria dei droni DJI, Tencent, il gestore internet cinese (su cui lavora l’app di messaggistica WeChat), tutti a Shenzen, che sta diventando anche un centro di ricerca e sviluppo per le auto con intelligenza artificiale.
SCENARI
Come ricordava il Financial Times in un vecchio pezzo, le città dell’attuale Greater Bay Area sono già state al centro della prima rivoluzione economica della Cina moderna, quando i soldi di Hong Kong stimolarono la rapida crescita dell’industria manifatturiera a Shenzhen, dopo che l’allora leader Deng Xiaoping la rese la prima zona economica speciale della nazione nel 1980. Ora il delta del Fiume della Perle torna d’attualità perché è il nodo futuristico attorno cui Pechino gioca interessi geopolitici e Washington sente il peso della competizione. E Hong Kong diventa il fulcro del sistema, perché l’integrazione doganale (e politica) di ogni genere rappresenta il principale ostacolo alla realizzazione della Greater Bay Area, e la cinesizzazione dell’isola è un elemento a cui il Dragone guarda per rendere più fluido il processo – e, contemporaneamente, viceversa: una prosperosa armonia potrebbe rendere più digeribile l’eliminazione di certe autonomie per gli hongkonghesi.
(Foto: bayarsa.gov.hk, la Chief Executive di Hong Kong, Carrie Lam, durante un evento di presentazione della Gba)