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Acque della discordia. Cina, Usa e Asean nel Mar Cinese Meridionale

Di Mercy A. Kuo

Sono tre gli interessi principali intorno ai quali ruota la geopolitica dell’energia nel Mar Cinese Meridionale: la sovranità nazionale, la sicurezza energetica e la crescita economica. La sovranità nazionale è la proiezione del potere allo scopo di preservare l’identità nazionale e gli interessi sovrani, inclusi aspetti territoriali che definiscono i confini geografici e i diritti marittimi di un paese. La sicurezza energetica consiste nella ricerca, nello sviluppo, nell’allocazione e nella difesa delle risorse e riserve energetiche strategiche da parte di un paese. Per assicurarsi la crescita economica a lungo termine, i paesi ottimizzano gli asset e le risorse nazionali.

La competizione e la cooperazione sul tema dell’energia nel Mar Cinese Meridionale vanno analizzate nel quadro più ampio delle rivendicazioni territoriali su tale regione, che vedono coinvolti sette stakeholder chiave: Cina, Vietnam, Filippine, Indonesia, Malesia, Taiwan e Brunei. La contesa sull’energia è solo una delle molte facce del contesto geopolitico nel quale si nutrono le ambizioni di leadership della Cina nella regione, un contesto che riguarda anche la sicurezza, gli scambi commerciali, gli investimenti, la logistica e la tecnologia. Gli sforzi operati dalla Cina per riscrivere le regole di ingaggio nel Mar Cinese Meridionale hanno lo scopo di rafforzare la sua influenza regionale nei confronti dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) e degli Stati Uniti, entrambi attori chiave nell’assicurare la difesa del principio di libertà dei mari e delle linee di comunicazione marittime (SLOC) secondo i termini della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che ha stabilito le Zone economiche esclusive (ZEE) come elemento del diritto internazionale e assegna agli stati costieri il diritto di disciplinare le attività economiche, quali la pesca e l’esplorazione petrolifera, all’interno delle proprie ZEE.

LE ESPLORAZIONI DI PETROLIO E GAS NEL MAR CINESE MERIDIONALE

Il Mar Cinese Meridionale è una rotta commerciale di importanza strategica a livello globale. Un terzo delle spedizioni mondiali di petrolio e oltre la metà di quelle di gas naturale liquefatto (LNG) attraversano questo tratto di mare e, secondo quanto riportato da alcuni media australiani, i fondali al di sotto delle sue isole e dei suoi scogli sarebbero ricchi di petrolio e gas. I dati forniti dall’Asia Maritime Trasparency Initiative sulle riserve di petrolio e gas nel Mar Cinese Meridionale spiegano gli sforzi compiuti da Pechino per assicurare l’espansione della presenza cinese in questo mare:

– L’Energy Information Agency statunitense stima che il Mar Cinese Meridionale contenga circa 190 trilioni di piedi cubi di gas naturale e 11 miliardi di barili di petrolio tra riserve accertate e probabili, la maggior parte delle quali si trova lungo i margini del Mar Cinese Meridionale piuttosto che sotto alle isole e agli scogli oggetto di contesa.
– Nel 2012, lo United States Geological Survey ha stimato che potrebbero esserci altri 160 trilioni di piedi cubi di gas naturale e 12 miliardi di barili di petrolio ancora da scoprire nel Mar Cinese Meridionale.
– Le stime avanzate da Pechino per le risorse sottomarine di idrocarburi sono considerevolmente più elevate, ma ancora modeste in rapporto alla domanda complessiva della Cina, considerando che si prevedeva che nel 2018 il consumo di petrolio del paese avrebbe toccato i 12,8 milioni di barili al giorno.

Le dispute territoriali tra i paesi contendenti hanno precluso una verifica accurata di tali stime. La Cina ha bloccato tentativi unilaterali di esplorazione e rilevamento da parte di altri pretendenti, inglobandoli invece attraverso accordi di esplorazione congiunta, come avvenuto con le Filippine e il Brunei. Dal punto di vista del governo Usa, il Mar Cinese Meridionale possiede una rilevanza cruciale nella strategia sulla sicurezza della Cina. Secondo il rapporto annuale al Congresso 2017 dell’Ufficio del segretario della Difesa statunitense il Mar Cinese Meridionale svolge un ruolo determinante in materia di sicurezza in tutta l’Asia orientale, dal momento che il nord-est asiatico dipende massicciamente dai flussi di petrolio e merci che viaggiano lungo le rotte di navigazione del Mar Cinese Meridionale, tra cui oltre l’80 percento del greggio diretto in Giappone, Corea del Sud e Taiwan. La Cina rivendica la sovranità sugli arcipelaghi delle Isole Spratly e Paracelso e su altre formazioni di terra che si trovano all’interno della sua autoproclamata “linea a nove punti”, rivendicazioni contestate del tutto o in parte da Brunei, Filippine, Malesia e Vietnam. Taiwan, che occupa l’isola di Itu Aba facente parte delle Spratly, avanza le stesse pretese territoriali. Nel 2009 la Cina ha contestato le richieste di estensione della piattaforma continentale nel Mar Cinese Meridionale presentate da Malesia e Vietnam. Nella contestazione portata dinnanzi alla Commissione sui Limiti della Piattaforma Continentale delle Nazioni Unite, la Cina ha incluso l’ambigua mappa della “linea a nove punti”.

La “linea a nove punti” rappresenta la demarcazione definita in modo tutt’altro che chiaro dalla Cina della propria sovranità e giurisdizione nel Mar Cinese Meridionale, il quale si estende su un’area di 3,5 milioni di chilometri quadrati. All’interno di tale area, la Cina rivendica sovranità e giurisdizione su 2,1 milioni di chilometri quadrati entro la linea a nove punti proclamata nel 1953 dalla Repubblica Popolare Cinese. La pretesa della Cina si basa su un confine tracciato da un’ancora più ampia “linea a undici punti” definito dal governo della Repubblica Cinese nel 1947. Secondo una rilevazione condotta nel 1983 dal governo di Pechino, nel Mar Cinese Meridionale vi sono 252 isole e scogli, di cui 25 sono isole permanentemente emerse. Attualmente il Vietnam occupa 30 tra isole e scogli, la Cina ne occupa nove ed esercita pattugliamenti periodici su 21 di essi, le Filippine su sei; la Malesia ne occupa tre ed esercita pattugliamenti periodici su quattro; Taiwan e Brunei occupano un’isola o uno scoglio a testa. Lo sviluppo di riserve di petrolio e gas all’interno della linea a nove punti, che interseca le ZEE di paesi contendenti, giace al cuore della strategia per la sicurezza energetica della Cina.

L’APPROCCIO ASEAN

L’Associazione sta cercando di trovare un equilibrio tra la rapida ascesa della Cina e il temporeggiare dei paesi del sud-est asiatico a fronte dell’incertezza che aleggia sulla leadership Usa nella regione. La storia dell’ASEAN ha dimostrato che la sua efficacia dipende da quale paese ne assume la presidenza. In occasione della presidenza della Cambogia nel 2012 e a seguito della sua decisione di eliminare i riferimenti al “pasticcio del Mar Cinese Meridionale”, per volere della Cina, per la prima volta nei suoi 45 anni di attività l’ASEAN non ha rilasciato il consueto comunicato congiunto dopo l’ASEAN Regional Forum. A parte ciò, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico ha svolto un ruolo fondamentale nelle trattative per un Codice di condotta formale inteso a mitigare gli scontri marittimi e a istituire dei meccanismi di risoluzione delle dispute. Nella sua qualità di piattaforma multilaterale, l’ASEAN funge inoltre da contromisura all’utilizzo da parte della Cina di trattative bilaterali. Pechino continuerà a sfruttare, come ha fatto nel passato, le fratture e la mancanza di unità in seno all’ASEAN per portare avanti il proprio programma. Nondimeno, ora più che mai la leadership dell’ASEAN è cruciale per rafforzare l’influenza economica e geopolitica dei paesi del sud-est asiatico nel difendere le regole e norme regionali di fronte all’ascesa cinese. Tanto nel breve quanto nel lungo termine, il sud-est asiatico rappresenta un elemento essenziale degli sforzi cinesi verso l’integrazione economica regionale. Secondo un rapporto pubblicato nel 2018 dalla London School of Economics, si prevede che il volume totale degli scambi commerciali aumenterà di mano in mano che l’ASEAN passerà ad essere, da sesta a quarta economia mondiale entro il 2050, con una crescita annua prevista del PIL pari al 5,25 percento tra il 2016 e il 2020.

LA COMPETIZIONE

Gli interessi strategici della Cina si concentrano sulla competizione per il predominio nel Mar Cinese Meridionale e sulla riduzione della dipendenza dall’energia importata. La rilevanza strategica del Mar Cinese Meridionale si è affermata sotto la presidenza di Xi Jinping con la “Belt and Road Initiative” (BRI) e il piano “Made in China 2025” (MIC2025), dal momento che lo sviluppo di nuove energie è un elemento chiave di entrambe le iniziative. L’approccio a più livelli adottato dalla Cina, caratterizzato da un lato da un’azione diplomatica “morbida” attraverso incentivi al commercio e agli investimenti e dall’altro da un’escalation di battaglie a suon di colpi giuridici e di manifestazioni di forza militare e paramilitare nel Mar Cinese Meridionale, rivela come la difesa dell’identità e della sovranità nazionale sia il motore del processo decisionale sulla sicurezza energetica di Pechino. La dichiarazione del 2018 del dipartimento della Difesa statunitense sottolinea la chiara correlazione tra la sicurezza energetica della Cina e il Mar Cinese Meridionale

• Nel 2017 la Regione ha importato petrolio per soddisfare il 67 percento circa della sua domanda. Secondo le proiezioni dell’International Energy Agency (IEA), questa cifra è destinata a raggiungere l’80 percento circa entro il 2035. Sempre nel 2017, il 34 percento della domanda di gas naturale della Cina è stato soddisfatto con le importazioni e l’IEA prevede che arriverà al 46 percento entro il 2035.

• Per rispondere alla crescente domanda di petrolio e gas, la Cina continua a guardare principalmente al Golfo Persico, all’Africa e alla Russia/Asia centrale, facendo particolare affidamento su SLOC (Sea Lines of Communication, linee di traffico marittimo di interesse nazionale) libere da impedimenti, come il Mar Cinese Meridionale e lo Stretto di Malacca, per assicurarsi gli approvvigionamenti di idrocarburi. Nel 2017, circa l’80 percento delle importazioni di petrolio e il 13 percento delle importazioni di gas della Cina sono transitati attraverso il Mar Cinese Meridionale e lo Stretto di Malacca.

• Nonostante gli sforzi di diversificazione della Cina per ricercare rotte di fornitura alternative, il volume complessivo di petrolio e gas naturale liquefatto che il gigante asiatico importa dal Medio Oriente e dall’Africa continuerà a far sì che le SLOC strategiche rivestano una significativa importanza per il paese. Gli oleodotti separati che trasportano petrolio greggio dalla Russia e dal Kazakistan alla Cina sono un chiaro esempio degli sforzi compiuti per aumentare il volume delle forniture via terra. Con il completamento della sua espansione avvenuto il 1° gennaio 2018, la Cina ha raddoppiato la capacità del suo oleodotto verso la Russia passando da 300.000 a 600.000 barili al giorno (b/g).

Pechino ha ben presente che un inasprimento dello scontro non andrà necessariamente a vantaggio dei propri interessi. Il conflitto tra i contendenti potrebbe causare delle perturbazioni nel commercio e fare aumentare sostanzialmente i costi di spedizione e i premi assicurativi. Per esempio, secondo quanto riportato da alcuni media asiatici, nel periodo in cui si è verificata la massima intensità degli episodi di pirateria nelle acque al largo della Somalia, i premi assicurativi relativi al trasporto sono passati da 500 a 150.000 dollari per imbarcazione. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’energia statunitense, nel 2016 sono stati trasportati 15 milioni di barili di petrolio attraverso il Mar Cinese Meridionale, dei quali il 42 percento è andato alla Cina, il 20 percento al Giappone e il 18 percento alla Corea del Sud. I media cinesi hanno riferito che nel 2017 l’80 percento delle importazioni di petrolio del paese è avvenuto attraverso il Mar Cinese Meridionale. Attualmente la Cina possiede riserve di petrolio per soli 33 giorni. Per i pianificatori strategici cinesi, qualora le rotte marittime del Mar Cinese Meridionale venissero interrotte, l’impatto economico e sociale sarebbe inimmaginabile. Al momento le azioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale sono concentrate sul tenere alla larga altri stakeholder capaci di azioni destabilizzanti, riservandosi quindi tale capacità. La Cina ha fatto pressione sulle società occidentali affinché non collaborino alle esplorazioni energetiche nel Mar Cinese Meridionale con le parti contendenti. Nel 2018, incalzato da Pechino, il Vietnam ha sospeso un progetto sul gas naturale con la compagnia petrolifera spagnola Repsol.

LA LEADERSHIP USA

Nella gestione della situazione geopolitica del Mar Cinese Meridionale, la Marina degli Stati Uniti ha condotto le operazioni denominate “Freedom of Navigation Operations” (FONOP) con l’intento di allentare la potenziale tensione in ambito marittimo e mettere in chiaro che un’aggressione cinese è inaccettabile. Cosa più importante, le FONOP statunitensi servono a difendere la libertà dei mari in acque internazionali ai sensi del diritto internazionale. La presenza militare Usa ha un ruolo cruciale nell’impedire l’imposizione della sovranità cinese su acque internazionali. Nonostante la politica “Rebalance to Asia” dell’Amministrazione Obama intesa a riaffermare lo status degli Stati Uniti come potenza del Pacifico, la decisione dell’Amministrazione Trump di ritirarsi dalla Trans-pacific Partnership (TPP) e intraprendere una guerra commerciale con la Cina ha alimentato il clima di incertezza sulla misura dell’impegno degli Stati Uniti nella regione. La leadership Usa è una variabile chiave nell’equilibrio delle dinamiche di potere nel sud-est asiatico. In questo periodo di opportunità strategiche, la Cina punta a costituire un esercito di prima classe, inclusa una marina d’alto mare, entro il 2049. Il Mar Cinese Meridionale rappresenta il fulcro delle ambizioni navali della Cina. L’ammiraglio della Marina statunitense Philip Davidson nel 2018 ha dichiarato: “Attualmente il paese è in grado di controllare il Mar Cinese Meridionale in tutti gli scenari fuorché in una guerra con gli Stati Uniti”. Gli attriti nelle relazioni Usa-Cina costituiscono un fattore catalizzante che incoraggia le strategie di temporeggiamento dei paesi del sud-est asiatico nei confronti di Cina e Stati Uniti.

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE ANCHE PER L’OCCIDENTE

Il Mar Cinese Meridionale rimane un perenne punto caldo nella geopolitica del sud-est asiatico. Per le società energetiche, i fornitori e gli stakeholder, la gestione dell’escalation di tensioni e del potenziale impatto sulle attività aziendali richiede l’identificazione e il tracciamento degli indicatori di rischio. Secondo Nicola Casarini, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali, un think tank con sede a Roma, oltre un terzo degli scambi commerciali esterni dell’Europa e un quarto di quelli degli Stati Uniti transitano attraverso la regione indo-pacifica, e qualsiasi escalation delle tensioni in tale area avrà senza dubbio un impatto diretto sull’occidente.

Guardando al futuro, l’International Energy Agency prevede che entro il 2030 la Cina diventerà il maggiore consumatore di petrolio del mondo, sorpassando gli Stati Uniti. Nello scenario prefigurato nel World Energy Outlook 2017 della IEA, la domanda di gas naturale supererà i 600 miliardi di metri cubi (bcm) entro il 2040, facendo dell’area il secondo maggiore mercato al mondo dopo gli Stati Uniti e la maggiore fonte di crescita della domanda globale di gas: in questo periodo la quota di gas nel mix energetico primario della Cina passerà da essere meno del 6 percento a superare il 12 percento.

Con la Cina sulla strada per diventare un attore di primissimo piano nei mercati energetici, le società del settore farebbero bene a tener conto della geopolitica dell’energia nel Mar Cinese Meridionale nei loro piani strategici.

(Leggi qui tutti gli articoli della rivista World Energy Magazine)

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