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Ursula von der Leyen è il nuovo Presidente della Commissione Europea. Entrerà in carica il primo novembre di quest’anno e vi rimarrà fino alle prossime elezioni europee, nel 2024. Cinque anni decisivi, in cui la Commissione può fornire un contributo cruciale ad affossare o a rilanciare il processo d’integrazione europea. Non era uno Spitzenkandidat; il che apre una discussione sulla qualità della democrazia europea. Ma i compromessi sono parte integrante dei sistemi complessi; e la Ue è un sistema particolarmente complesso, instabile ed ancora istituzionalmente fragile.

In ogni caso, i commenti sulle logiche che hanno portato all’elezione della von der Leyen ed il suo profilo personale/istituzionale passato sono da oggi in poi (quasi) ininfluenti: verrà ora giudicata come Presidente della Commissione per quello che sarà in grado di fare sui dossier più scottanti (più o meno espliciti) sul tavolo delle riforme necessarie per avvicinare concretamente la Ue ai cittadini europei; a cominciare dai segnali che invierà al mondo con la composizione della squadra che la affiancherà nel governo della Ue nella legislatura.

Tutti i proclami del suo discorso al Parlamento Europeo dovranno trovare concreta attuazione. E magari anche qualcuno in più. A cominciare dal bilancio europeo, che dovrà essere orientato alla crescita ed alla stabilizzazione economica, oltre che alla redistribuzione del reddito; e ad una più efficace governance economica dell’area euro, che non può essere ancora abbandonata unicamente a sistemi di regole ma deve essere affidata alla sapiente discrezionalità di una guida politica democraticamente legittimata. Per proseguire poi con le scelte strategiche sul posizionamento dell’Unione Europea nel quadro geopolitico mondiale: politica estera, transizione ecologica, piattaforme digitali, cybersecurity, tavoli negoziali multilaterali (come IMF e WTO), innovazione e politiche industriali, gestione delle politiche migratorie anche in un’ottica di stabilizzazione e sviluppo del Mediterraneo e del continente africano, etc. E non dimenticando il punto chiave: la governance della UE, che non può essere ancora affidata ai compromessi diplomatici delle logiche intergovernative ma deve trovare un modo per trasformare l’Unione in una genuina democrazia sovranazionale.

Insomma, se è vero che ancora oggi è il Consiglio la vera assemblea decisionale della Ue, la Commissione può svolgere, insieme al Parlamento e ad un gruppo significativo di paesi, un ruolo decisivo di innovazione istituzionale, decisionale e di policy senza il quale l’Unione Europea è destinata a sfaldarsi sotto i colpi del nazionalismo.

Mi sia concessa un’ultima osservazione, che poco ha a che fare con l’elezione della von der Leyen. Lo avevo già scritto all’indomani dei risultati europei e lo ribadisco oggi: bene hanno fatto i verdi a votare contro la von der Leyen. Non tanto nel merito, viste le (almeno apparenti) aperture della neo Presidente ad un’agenda verde per il prossimo mandato della Commissione; ma per lasciare uno spazio critico e di opposizione che non sia unicamente nelle mani dei sovranisti. Se la von der Leyen, come purtroppo è possibile, avallerà una deriva dell’Unione Europea a favore dell’austerity e delle logiche intergovernative, solo i verdi potranno costituire un argine costruttivo alla raccolta di consenso anti-Ue non legata al sovranismo nazionalista. Speriamo naturalmente che non ce ne sia bisogno: che la von del Leyen sia all’altezza delle sfide richieste dal momento storico attuale. Ma la presenza di un’opposizione verde, sinceramente, in un quadro ancora fortemente incerto sugli assetti politici interni ad alcuni paesi chiave della Ue, ci sembra un importante fattore di salvaguardia della democrazia in Europa.

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