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La guerra tra poveri è una guerra ai poveri. Francesco con i migranti a San Pietro

Oggi nella Basilica di San Pietro Papa Francesco ha dato la più forte risposta alla cultura della guerra tra poveri che i suprematisti, tutti i suprematisti del mondo, stanno dichiarando contro i poveri degli altri, sebbene in realtà sia una guerra a tutti i poveri. Ma per capirla questa risposta altissima e chiarissima va contestualizzata.
L’otto luglio di sei anni fa papa Francesco andò a Lampedusa, dove celebrò davanti ad una piccola imbarcazione di legno, trasformata in altare. Il suo pastorale era un remo e il suo discorso di allora si può riassumere nell’ammonimento biblico che in quell’occasione pronunciò più volte: “Dov’è tuo fratello?”.

IL SENSO DELLA MESSA 

Sei anni dopo, per ricordare quel pellegrinaggio, il suo primo viaggio, ha riunito 250 profughi, asilanti, migranti, naufraghi del Mediterraneo e operatori umanitari nella Basilica. Ai piedi del grande, solenne altare, tra marmi, ori, il Papa aveva con sé un solo crocifisso, di legno grezzo, non lavorato, con ogni probabilità quel legno era un remo. Il senso della messa in ricordo del viaggio a Lampedusa di papa Francesco con ogni probabilità sta tutto qui. Dopo essere andato da loro, sei anni dopo, il papa li ha chiamati in San Pietro.

Le iene dattilografe, i leoni da tastiera, diranno che ne ha portati solo pochi e per poco tempo. Insulti rabbiosi di chi ha subito il colpo. Gli organizzatori dell’evento sanno benissimo che se si fosse voluto oggi la Basilica sarebbe stata gremita, ci sarebbero state migliaia di persone. E invece non si è voluta neanche la stampa. Perché? Perché la Messa odierna doveva rendere evidente che la Chiesa in uscita, la Chiesa ospedale da campo, è stata condotta da Bergoglio anche in San Pietro, nella sua ricca potenza. Quella potenza, quella ricchezza, esiste in funzione della sua povertà, del suo servizio, del suo essere ospedale da campo. Non un ospedale strutturato, di eccellenza: no. Quel crocifisso-remo davanti a poche persone nello spazio enorme spiegava meglio di ogni parola cosa sia “un ospedale da campo”, un ospedale che assiste i feriti sul campo di battaglia, cioè nella storia, nella loro storia. In quella storia vive, opera, non fuori o sopra di essa. E non chiede i documenti ai feriti, non chiede professioni di fede, non elabora piani diocesani, progetti culturali.

Il papa non ha parlato dei migranti, ha parlato ai migranti, ai fuggiaschi, a chi ha attraversato a piedi i deserto, agli assetati, ai torturati, ai bombardati, a chi ha sfidato il mare impietoso, magari burrascoso. Ha parlato anche a chi non ce l’ha fatta. E chi sono costoro? Sono degli esseri umani? Va bene, certo, ci mancherebbe altro, questo lo riconosceranno anche i suprematisti, sono degli esseri umani; non basta questo di messaggio fortissimo, di risposta alla guerra dichiarata dai suprematisti ai poveri degli altri. Sono un simbolo!

I MIGRANTI SONO PERSONE CHE SUBISCONO L’EMARGINAZIONE DEL MONDO

Ecco chi sono: “Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! ‘Non si tratta solo di migranti!’, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”.

Non ci può essere cura, attenzione vera, personale, diretta, per i diseredati delle nostre periferie senza attenzione ai naufraghi del Mediterraneo, o peggio ancora nel loro rifiuto. L’attenzione per la persona sarà vera se guarda a chi viene lasciato indietro nelle nostre periferie come ai migranti, perché entrambi sono vittime dell’ordine ingiusto della globalizzazione finanziaria, quella che da quando è diventato papa lui chiede che diventi la globalizzazione poliedrica, rispettosa delle diversità dei popoli. E dei poveri.

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