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La Francia sdogana in Europa la militarizzazione dello Spazio

Tanto tuonò che piovve. Solo che in questo caso le previsioni meteorologiche erano state annunciate sin dall’anno scorso. A settembre 2018, il ministro della Difesa francese Florence Parly nel corso di un’audizione pubblica a Tolosa, sede del cnes la prestigiosa agenzia spaziale d’oltralpe, aveva rivelato che un satellite russo aveva avvicinato in orbita un satellite militare franco-italiano per spiarne le comunicazioni. Proprio in quell’occasione, il ministro aveva dichiarato che la Francia si apprestava a elaborare una propria strategia militare per lo Spazio. Cosa che puntualmente era accaduta. A gennaio 2019, presso il Senato della Repubblica i deputati Olivier Bechet e Stephane Trompille Francese avevano presentato il Rapporto della Commissione Nazionale per le Forze Armate sulla “Difesa Spaziale” elaborato con l’ausilio di esponenti del Icnes, dell’Onera, dell’industria e della Difesa.

LA DIFESA SPAZIALE FRANCESE

Nel Rapporto, reso parzialmente pubblico, veniva indicata la strategia francese per far operare la propria Aeronautica militare anche oltre i confini dell’atmosfera terrestre con nuovi e innovativi sistemi d’arma spaziali. Neanche sei mesi dopo, nel corso della parata militare del 14 luglio il Presidente Macron, accanto alla cancelleria Merkel, ha dichiarato che la Francia sta per costituire una Forza Armata Spaziale e così il cerchio sembra chiudersi; ma i giochi in realtà non sono ancora conclusi, come vedremo tra poco, e le conseguenze per l’Europa, e per l’Italia, non saranno di poco conto. Dalle colonne della rivista Airpress avevamo scritto da oltre un anno che la Francia avrebbe proceduto a un cambiamento della governance europea dello Spazio e che i segnali in questa direzione erano molteplici.

Oggi la strategia francese diventa pubblica. E occorre tenerne conto. Per inciso il tutto avviene pochi giorni dopo il primo fallimento del lanciatore italiano Vega che, decollato dalla base di Kourou nella Guyana Francese, trasportava un satellite spia degli Emirati Arabi, costruito dalla Airbus Defence & Space. Ma questa è un’altra storia, forse parallela agli eventi storici di questi giorni ma che non è oggetto del presente articolo. Sempre su Airpress abbiamo riportato nei mesi scorsi come la Commissione Europea, su chiaro impulso franco-tedeco, stia progressivamente erodendo il ruolo strategico dell’Agenzia Spaziale Europe Esa per renderla un Ente gestionale in qualche maniera subordinato a una costituenda nuova agenzia europea per lo Spazio che sia slegata dal vincolo dell’Esa di non sviluppare sistemi a vocazione militare.

E già qui per l’Italia i campanelli di allarme dovrebbero essere più d’uno. Ma una questione ben più importante potrebbe essere quella dell’assetto industriale dell’Europa Spaziale dei prossimi decenni, quella cioè che secondo i piani di Parigi dovrebbe garantire lo sviluppo dei futuri sistemi di difesa, e di offesa aggiungiamo noi, nello Spazio. L’industria francese è già multi europea: la Airbus Defence & Space è francese, tedesca, spagnola e inglese; la Thales Alenia Space è franco-belga-italiana, ma a maggioranza francese. Quanto tempo deve passare per vedere un solo agglomerato industriale derivato dall’unione tra la Airbus e la Thales? A nostro avviso non molto. Anche perché i prevedibili reclami di Bruxelles contro un eventuale assetto monopolista sarebbero presto tacitati dal fatto che in realtà in Germania negli ultimi anni è cresciuta una solida realtà industriale, la Ohb di Brema, che ha persino vinto importanti gare di appalto per la costruzione dei satelliti Galileo, strategici per l’Europa. E così nel caso di una fusione Airbus-Thales la questione monopolistica sarebbe superata. Il tutto potrebbe probabilmente avvenire entro il 2020, dopo che la prossima Ministeriale dell’ESA avrà garantito i fondi necessari al completamento del futuro Ariane 6, dato che è l’Ariane il programma su cui la Francia punta per l’accesso allo Spazio nei prossimi decenni.

L’ITALIA A CHE PUNTO È?

E l’Italia? La situazione è complessa e richiede adeguata competenza e visione strategica per posizionare il nostro paese nel contesto geopolitico e industriale dei prossimi anni. Non si può non concordare con le tesi esposte dal prof. Carlo Pelanda nel suo articolo del 14 luglio sul quotidiano La Verità intitolato “Perché dobbiamo spedire la Nato in orbita”. La tesi è che l’Agenzia Spaziale Italiana, nonostante la legge di riforma dello scorso anno, non è ancora preparata per le sfide tecnopolitiche del prossimo futuro e quindi dovrebbe essere ancora riconfigurata per potersi ancorare anche a un solido programma a vocazione militare che abbia il forte sostegno governativo.

Inoltre, l’Italia dovrebbe proporre l’adozione di un programma spaziale in ambito Nato così da porre oltralpe la questione della direzione strategica europea; se cioè questa debba agganciarsi, e in che misura, a Washington, oppure procedere su una linea europeista autarchica. Infine, ma non meno importante, la questione industriale: la maggioranza degli assetti industriali spaziali nazionali per la manifattura dei satelliti è stata ceduta nei primi anni duemila a Parigi, e quella dei lanciatori è oggi una public company la cui quota di maggioranza è in mano a una società finanziaria; inoltre, le nuove realtà industriali satellitari appaiono ancora delle promesse “in erba”, volendo usare un eufemismo, e quindi propugnare delle istanze strategiche a difesa degli interessi nazionali per il costituendo assetto tecnopolitico dell’Europa spaziale diventa un gioco di equilibrio in cui la visione di lungo periodo si deve coniugare con un’efficace configurazione dell’agenzia spaziale e, soprattutto, con una realistica e integrata strategia di sviluppo per i futuri sistemi spaziali che il nostro paese dovrà apportare all’Europa oppure a idonei partner internazionali.


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