A fronte di una condivisione dell’esigenza di elevare la soglia della sicurezza nazionale anche nel campo delle reti, “lo strumento del decreto legge” approdato al Parlamento dopo l’approvazione in consiglio dei ministri “è senz’altro quello che nei tempi più brevi può assicurare questa copertura. E “sarebbe insensato farlo decadere se il percorso alternativo che si indica in realtà non è adeguato a fronteggiare l’asserita emergenza”.
A spiegarlo è Giovanni Guzzetta – avvocato cassazionista e professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata” – che in una conversazione con Formiche.net rivolge al governo “un invito alla coerenza e alla determinazione nell’affrontare un problema serio” come quello riguardante la sicurezza delle nuove reti di quinta generazione.
Professor Guzzetta, il decreto legge che interviene modificando alcuni aspetti tecnici del Golden Power per il 5G ma non solo – misure di controllo, potere di veto, obblighi di notifica e istruttoria – non è ancora stato convertito in legge. Che rischi ci sono dal punto di vista della sicurezza?
Non sono naturalmente un esperto di tecnologie, ma certamente il problema sollevato da alcuni esperti circa la possibilità di un vuoto normativo mi pare allarmante. Mi spiego meglio. Al di là del confronto politico in atto, se è vero – a quanto dicono gli esperti – che i tempi di istruttoria necessari a valutare apparati di quella complessità necessitano di più di 15 giorni – un tempo che con il decreto legge viene portato a 45 – allora il problema va affrontato con chiarezza. Se questi rischi invece non ci fossero, qualcuno si assuma la responsabilità politica di dirlo, mettendolo agli atti, e ci restituisca tranquillità.
Perché questo stallo?
Nella società digitale la sicurezza e gli effetti della sua assenza sono sottovalutati dalla maggior parte delle persone e spesso anche della classe politica. L’intromissione nella privacy e le forme di manipolazione sono virtualmente molto estese. Non credo ci sia la necessaria consapevolezza di questa minaccia. Ma il problema non è solo sul 5G.
Che cosa intende?
Al di là del tema specifico, questa vicenda ci dice che c’è un grande dibattito che come Paese dovremmo fare e non abbiamo fatto, e che riguarda in che modo l’Italia vuole affrontare le sfide di sicurezza legate alla pervasività del digitale. Che come tutte le grandi opportunità porta con sé dei rischi. Si tratta di un dibattito ampio, che dovrebbe vedere coinvolto ogni ambito della società. Il vero tema è culturale, perché assistiamo a una irruzione del virtuale nel reale.
Tornando al decreto legge, pensa che possa essere fatto decadere senza conseguenze, per poi puntare su un altro tipo di provvedimento legislativo?
Premesso che mi pare che tutti i contendenti (Movimento 5 Stelle e Lega, ndr) riconoscano l’esigenza di elevare la soglia della sicurezza nazionale anche nel campo delle reti, lo strumento del decreto legge è senz’altro quello che nei tempi più brevi può assicurare questa copertura. E che può essere persino reiterato in caso di rinnovate ragioni di emergenza. Sarebbe insensato farlo decadere se il percorso alternativo che si indica in realtà non è adeguato a fronteggiare l’asserita emergenza. Anche il non decidere è una decisione. Direi dunque che su questa vicenda la politica non stia dando una risposta coerente.
Quale sarebbe la risposta adeguata da dare sul tema 5G e Golden Power?
Da cittadino innanzitutto e poi da studioso dico: non si accampino scuse di tipo tecnico-procedurale. La scelta è tutta politica. Gli strumenti giuridici seguono quella. Come ho detto, anche decidere di lasciar decadere il provvedimento lo è. Ma se la maggioranza è d’accordo, come sembra, sul rafforzare la sicurezza delle reti, allora serve davvero poco perché il decreto legge già approvato dal governo possa velocemente essere discusso e approvato. Quel che sento di rivolgere è un invito alla coerenza e alla determinazione nell’affrontare un problema serio, che riguarda solo il Paese e non logiche politiche interne o internazionali. Altrimenti si semina solo incertezza. E in tema di sicurezza è proprio quello di cui non abbiamo bisogno.