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L’influenza russa e i legami Mosca-Pechino? Ampiamente sottovalutati. Il report del Pentagono

Gli Stati Uniti? Dovrebbero fare molto di più (e meglio) per contrastare la guerra politica con la quale la Russia starebbe tentando di minare le democrazie occidentali. A crederlo è un report diffuso dal Pentagono, che analizza alcuni episodi recenti che secondo la difesa Usa rappresentano la portata del conflitto asimmetrico avviato da Mosca, del quale lo studio identifica la genesi nei cyber attacchi del 2007 contro l’Estonia e che riconduce fino a oggi citando l’annessione/invasione della Crimea, i disordini in Ucraina, il ruolo in Siria e la presenza in Africa e nell’Artico.

IL REPORT DEL PENTAGONO

Nel libro bianco di oltre 160 pagine, preparato per lo Stato maggiore congiunto (l’organo che riunisce i capi di Stato maggiore di ciascun ramo delle forze armate statunitensi) e ottenuto da Politico, si afferma che gli Usa starebbero ancora sottovalutando la portata dell’aggressione della Russia, che includerebbe l’uso della propaganda e della disinformazione (la cosiddetta gray zone) per influenzare l’opinione pubblica in Europa, Asia centrale, Africa e America Latina. Ma a preoccupare sono anche quelli che vengono considerati i pericoli di un crescente allineamento tra Mosca e Pechino, Paesi affini per “stabilità autoritaria”, che condividono la paura delle alleanze internazionali degli Stati Uniti. Una sfida che, rimarca il rapporto, può essere vinta solo “con un approccio governativo totalmente allineato e sincronizzato”, basato su “una comune comprensione dei concorrenti, delle loro tattiche” e dei loro obiettivi. Un intento al quale mira lo stesso rapporto.

COMPRENDERE IL FENOMENO

Secondo gli strateghi indipendenti e quelli militari che hanno lavorato al report, gli indicatori principali che un’entità è vulnerabile ad azioni ibride di Mosca includerebbero “disordini politici e sociali, grandi investimenti russi nelle sue funzionalità chiave, e strutture di sicurezza deboli”.
Per questo lo studio invita gli Stati Uniti a “rivalutare vecchi paradigmi che separano la guerra e la pace nella scia degli attuali conflitti internazionali”. Secondo gli esperti si sarebbe entrati, insomma, in una fase di guerra permanente a bassa o media intensità, condotta con vari strumenti, tra i quali quello informatico è il principale dati duttilità, relativo basso costo delle operazioni e difficoltà di attribuzione. La posta in gioco, rimarca il report, è alta: “proteggere l’ordine liberale internazionale”, che il presidente russo Vladimir Putin ha definito superato in una recente e discussa intervista concessa al Financial Times.

LE RACCOMANDAZIONI

Lo studio – che riconosce alla Nato un ruolo cruciale di deterrenza – contiene una serie di raccomandazioni, che delineano alcune priorità. Per il documento – che riterrebbe utile un ritorno ad alcune delle contromisure già utilizzate durante la Guerra Fredda – è “imperativo rafforzare le istituzioni occidentali e la società civile per costruire resilienza contro le minacce ibride” e dare risposte che dovrebbero partire da “difese cyber” all’altezza del compito. Consapevolezza della situazione, flessibilità e deterrenza “a livello strategico, operativo e persino tattico” (come un maggiore studio delle tattiche russe di Reflexive Control, che agiscono sulle percezioni), sono ritenuti altri elementi imprescindibili.
Inoltre, “i governi occidentali dovrebbero elevare gli standard per la trasparenza e
l’integrità della ricerca, dell’advocacy, dei gruppi di lobbying, e della diplomazia, “incoraggiando a esporre e sfidare la propaganda e la disinformazione russa, sia quella condotta apertamente dal governo” di Mosca sia quella “tramite istituzioni intermedie”. Oltre a porre una maggiore attenzione a queste problematiche in ambito intelligence; uno ‘shift’ già avvenuto nella ‘nuova’ Cia guidata da Gina Haspel, agenzia che dopo essersi concentrata molto negli anni passati sulla minaccia terroristica, è tornata a concentrare uomini e risorse per controllare le mosse di Paesi come Russia.
Ma, evidenzia lo studio, la più grande mano nel raggiungimento dell’obiettivo di contenere i progetti espansionistici del presidente Putin potrebbe arrivare dallo stesso popolo e persino dalle élite russe, che guarderebbero con diffidenza e scetticismo alle recenti mosse del Cremlino, mentre sarebbero più interessati alla crescita socio-economica del Paese.


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