Pedro Sánchez è intervenuto oggi davanti al Parlamento spagnolo. Il leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) ha spiegato in maniera approfondita, per più di due ore, il suo programma di governo. Poco dopo, gli interventi di diversi gruppi dell’opposizione: Pablo Casado (Partito Popolare), Albert Rivera (Ciudadanos), Pablo Iglesias (Unidas Podemos), Santiago Abascal (Vox), Gabriel Rufián (Erc) e gli altri… Domani proseguiranno i discorsi e, alla fine, si procederà alla votazione.
LE PAROLE DEL SOCIALISTA
In un discorso di due ore, Sánchez ha chiesto la fiducia dei parlamentari per impedire che “la Spagna resti bloccati”. Tra le tematiche di governo spiegate dal leader socialista ci sono, come priorità, la “disoccupazione e precarietà, rivoluzione digitale, transizione ecologica, discriminazione della donne, diseguaglianza sociale e futuro dell’Europa”. Il leader socialista non ha parlato della Catalogna, preferendo concentrarsi sulla difesa di Madrid Centrale.
Alla fine, ha avanzato la proposta di alleanza con Podemos: “Un patto che non sarà facile, ma ci unisce la promessa della sinistra”. Per Podemos, invece, il Psoe ha offerto solo “responsabilità simboliche” nelle ultime ore di negoziazioni, per cui la partita è ancora aperta.
QUESTIONE DI VOTI
Come spiega il quotidiano spagnolo El País, se Sánchez somma 176 voti, sarà investito come presidente perché può contare sulla maggioranza assoluta. In caso contrario, si rifarà un altro giro di votazione giovedì, alla stessa ora (la normativa prevede 48 ore di riflessione). In quel caso, se Sánchez ha più voti positivi che negativi, avrebbe la maggioranza semplice e può, anche in quel caso, essere investito come capo dello Stato spagnolo dal presidente del Congresso, Meritxell Batet, che lo comunicherà al Re Filippo VI di Spagna.
LA SFIDA DI SÁNCHEZ
Se invece Sánchez non raggiunge il suo obiettivo, e la sua proposta di governo non è approvata dal Parlamento, si aprirà un periodo di due mesi per tentare un’altra investitura. Se alla fine di quei due mesi non si sblocca la situazione perché nessun candidato raggiunge il sostegno della Camera legislativa (la scadenza sarebbe il 25 settembre), si convocherebbe a nuove elezioni, probabilmente a novembre.
Uno scenario già conosciuto dagli spagnoli, che nel 2016 sono tornati alle urne perché Mariano Rajoy ha rifiutato la candidatura per l’investitura e Sánchez ha fallito nel suo tentativo.
SCENARIO COMPLESSO
La situazione è molto complessa e conferma lo stato d’ingovernabilità nel quale è, tuttora, sommerso lo scenario politico del Paese iberico. “Cominciano quattro giorni decisivi per il futuro della Spagna – si legge sul sito El Confidencial -. Questa settimana si vivranno nel Congresso dei Deputati due votazioni decisive, nelle quali si deciderà se Pedro Sánchez sarà il prossimo presidente del Paese”.
Il Partito Popolare, Ciudadanos e Voz hanno già annunciato che respingeranno qualsiasi proposta di coalizione con il Psoe. I partiti piccoli, invece, sono divisi: i nazionalisti di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), con 15 seggi; il Partito Nazionalista Vasco (Pnv), con 6; EH Bildu (4); Compromís (1); Partito Regionalista di Cantabria (Prc) (1).
ALLEANZA CON PODEMOS
Resta l’incognita sui 42 deputati del gruppo Unidos Podemos. I negoziati per cercare un accordo di coalizione tra il Psoe e il partito Podemos si sono bloccati poche ore dopo dall’intervento di Sánchez, a causa delle richieste del partito guidato da Pablo Iglesias. Tuttavia, “i ponti tra i due gruppi parlamentari non si sono ancora rotti in maniera definitiva”. Edmundo Bal, deputato e portavoce del partito Ciudadanos, considera che “un governo di Sánchez con Podemos non è la soluzione migliore per la Spagna”. Il Paese è diviso tra un accordo e nuove elezioni, che comprometterebbero ancora di più la sinistra.