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Diplomazia e dissuasione. Nel Golfo si lavora per la quiete

Il presidente russo, Vladimir Putin, ha avuto una conversazione telefonica con l’omologo francese Emmanuel Macron sull’Iran. Secondo quanto diffuso dal Cremlino, i due leader hanno parlato di come mantenere in piedi l’accordo sul nucleare del 2015, in fase di smottamento da quando il ritiro americano del maggio 2018 ha re-introdotto l’intera panoplia sanzionatoria Usa e s’è trasformato in un confronto militaresco che coinvolge il petrolio sul Golfo Persico. Russia e Francia sono due dei cofirmatari dell’intesa – insieme a Cina, Germania (Ue) e Regno Unito – ancora dentro a quello che con acronimo tecnico va sotto il nome di Jcpoa.

Il problema per tutti gli attori che ancora sono nell’accordo è fornire adeguate rassicurazioni all’Iran sul funzionamento del sistema che avrebbe permesso l’eliminazione delle misure sanzionatorie davanti all’accettazione da parte della Repubblica del congelamento del programma atomico. Il ritiro dall’intesa degli Stati Uniti sta rendendo impossibile questa mission, e nessuno dei Paesi ha strumenti adeguati per fornire copertura. Per questo Teheran ha iniziato una campagna di ricatto controllata, violando simbolicamente alcuni dei limiti marcati dall’accordo. Il Financial Times su questo ha un’indiscrezione: la Russia avrebbe parlato, con Francia e Germania, della possibilità di aderire al meccanismo Instex, creato dall’Ue per proteggere il business con l’Iran dalle sanzioni secondarie americane, ma al momento non utile per il mercato delle materie energetiche.

Da Firenze, dov’era ospite della cerimonia di restituzione all’Italia del “Vaso del Fiori” di van Huysum, ha parlato della situazione attorno all’Iran anche il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, che ha detto che “ci sono mezzi della diplomazia, tanti colloqui e trattative con Paesi delle regioni del Golfo e con gli Stati Uniti, ieri ho parlato anche con il collega russo, ovunque c’è una disponibilità a dare un contributo alla de-escalation: continueremo a procedere in questo senso, vogliamo abbattere le tensioni che ci sono”.

La dichiarazione del capo della diplomazia di Berlino arriva su una specifica domanda di uno dei giornalisti (tedeschi) presenti, che rimanda al nuovo caso di alta tensione sopra lo stretto di Hormuz, l’abbattimento di un drone iraniano con un sistema elettronico piazzato su un nave militare americana, a cui si era avvicinato troppo. Gli iraniani, a proposito, continuano a negare: dicono di essere in grado di fornire prove consistenti che si è trattato di un episodio di fuoco amico statunitense. Il drone, dicono, non era dell’Iran, ma targato Usa. Sarebbe uno smacco l’errore, anche perché l’abbattimento è stato pubblicamente celebrato dal presidente Donald Trump in persona, ieri davanti alla stampa – affermazioni che, nella guerra retorica di queste settimane, l’Iran oggi ha definito “ridicole”.

Al fianco del ministro tedesco, oggi ha parlato di Iran anche l’italiano Enzo Moavero Milanesi, che ha sottolineato come Roma sia attenta “al rischio di aumento della situazione di crisi perché quella è un’area a noi estremamente vicina, che tocca direttamente interessi non solo di tipo politico e strategico, ma interessi anche economici e commerciali”.

Sempre oggi, il generale dei Marines Kenneth McKenzie, capo del Comando Centrale del Pentagono (quello che si occupa del quadrante geografico che va dall’Egitto all’Afghanistan, e ha come cuore operativo il Golfo Persico), ha detto che gli Stati Uniti stanno lavorando con altri partner per creare una coalizione/cooperazione per garantire la libertà di navigazione tra quelle rotte. Ossia, quello sottolineato da Moavero.

Il discorso di McKenzie è classicamente talassocratico: dice che lo Stretto di Hormuz e quello di Bab al Mandeb (sul Corno d’Africa, dall’altra parte della penisola arabica) sono passaggi fondamentali su cui non si può perdere la stabilità. Le dichiarazioni del comandante americano sono state diffuse da Riad, durante una conferenza stampa congiunta col principe saudita Fahd bin Turki bin Abdulaziz al Saud, comandante della coalizione che combatte i ribelli yemeniti Houthi in Yemen (uno dei territori di confronto proxy regionale tra Iran e Arabia Saudita).

“Non crediamo che la guerra con l’Iran sia inevitabile e non cerchiamo una guerra con l’Iran, quello che cerchiamo è di dissuadere Teheran dalle attività che destabilizzano la regione”, ha detto McKenzie. L’opera di dissuasione, secondo la strategia americana, passerebbe anche dalla costruzione di quella coalizione per il controllo dei mari da dispiegare nel Golfo. Oggi i sauditi hanno confermato che compiranno attività di scorta ai tanker; gli inglesi sono già della partita, e forse si unirà il Giappone, sebbene è possibile che l’aumento della presenza militare in quelle corsie marittime strette, aumenti i rischi di incidenti. Dall’Europa la diplomazia fa l’altra parte del lavorio di de-escalation sul quadrante.

(Foto: Wikipedia, la USS Boxer, una delle varie unità navali americane nel Golfo)

 



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