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L’Iran testa un missile balistico (nordcoreano). Il messaggio a Washington e Bruxelles

In mezzo alla crisi con gli Stati Uniti, con l’accordo sul nucleare in apparente stato comatoso e le petroliere che tagliano Hormuz messe a rischio sicurezza, l’Iran ha deciso di effettuare un test di un missile balistico, confermando le criticità espresse da Washington sul programma missilistico – aspetto che gli Usa vorrebbero inserire in un più ampio accordo da negoziare con gli iraniani (“Sarei contento di andare a Teheran ad avviare personalmente i colloqui”, ha detto ieri su Bloomberg TV il segretario di Stato americano).

Il vettore testato è uno Shahab-3, secondo quanto riferito ai media da funzionari del Pentagono, che hanno cercato di minimizzare per evitare escalation – cosa che il Pentagono fa da settimane – sostenendo che non costituisce una minaccia per le navi o le basi militari americane o occidentali nella regione.

Il missile è partito dalla costa meridionale dell’Iran ed è atterrato a est di Teheran: ossia ha volato per circa 1.100 chilometri verso l’entroterra, dunque distante dall’area di crisi del Golfo Persico. Un funzionario, che ha parlato a condizione di anonimato col New York Times, ha detto che gli americani hanno seguito “da vicino” il sito di lancio e tutte le fasi di preparazione. E questo è anche un messaggio per comunicare che l’intelligence statunitense ha la situazione completamente sotto controllo – nonostante la scorsa settimana il governo iraniano abbia annunciato trionfalmente di aver sgominato una serie di cellule della Cia.

Sebbene la minimizzazione da parte dei militari, e quella di Pompeo, il test è evidentemente un segnale politico in mezzo alle tensioni. Una dimostrazione di forza in faccia agli Stati Uniti, e un altro avviso di irrequietezza all’Europa, che Teheran accusa di non essere stata pronta a sopperire all’uscita statunitense dall’accordo sul nucleare (il Jcpoa del 2015) e di non fornire garanzie sulla stabilità futura dell’intesa.

I lanci di missili balistici non rientrano nel Jcpoa, e questa è una delle criticità menzionate dal presidente Donald Trump quando l’anno scorso è uscito dall’intesa atomica firmata e voluta dal suo predecessore. Sebbene però i test siano vietati a Teheran da una risoluzione Onu approvata praticamente in contemporanea all’accordo sul nucleare.

La scorsa settimana dal Palazzo di Vetro, il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, il diplomatico che per Teheran ha avuto il ruolo chiave nella firma del Jcpoa, ha detto che se gli Stati Uniti hanno veramente intenzione di discutere limitazioni sui missili iraniani, dovrebbero iniziare dal non fornire vettori “che minacciano l’Iran” all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e ad altri stati arabi.

C’è un aspetto interessante che, in mezzo alle tensioni e ai messaggi politici incrociati, sovrappone due terreni sensibili per gli Usa. Il lancio dello Shabab-3 dall’Iran è arrivato a poche ore dal test in mare di altri due missili balistici da parte della Corea del Nord. Il missile iraniano è basato sulla tecnologia del No-Dong nordcoreano (aka Hwasong-7), ed è uno dei punti di contatto tra i due dossier delicatissimi per gli americani. L’altro, ernome, la difficile ricerca di un’intesa con i nemici.

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