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L’Iran minaccia di riaprire il reattore di Arak (ma dialoga sul Jcpoa)

Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia, Cina, Unione Europea e Iran si sono incontrati per una riunione di emergenza convocata a Vienna a tema Jcpoa, l’accordo sul congelamento del programma nucleare iraniano redatto nel 2015. Tra i temi trattati, l’escalation delle tensioni tra Iran e Occidente nei mesi scorsi, tra cui i vari scontri nello stretto di Hormuz e le violazioni da parte dell’Iran dell’intesa. “Tutte le parti hanno espresso il loro impegno a salvaguardare il Jcpoa e a continuarne l’attuazione in modo equilibrato”, è la posizione comune resa manifesta da Fu Cong, direttore generale del Dipartimento del controllo degli armamenti presso il ministero degli Esteri cinese, a seguito dell’incontro che ha riunito le potenze firmatarie.

TENSIONI

Le tensioni sul programma atomico di Teheran si sono aggravate dopo che Washington si è ritirata unilateralmente dall’accordo l’8 maggio del 2018, un ritiro cui è seguita la ripresa delle sanzioni economiche statunitensi nei confronti dell’export petrolifero iraniano. Con una minaccia nella quale invitava i firmatari dell’accordo ad opporsi alle rinnovate sanzioni contro la Repubblica Islamica, qualche mese fa il presidente iraniano Hassan Rouhani ha provato a stressare il dossier con violazioni calcolate, in particolare circa la ripresa delle attività di arricchimento.

DATI TECNICI

L’Iran nel 2015 si è impegnato a non arricchire uranio al di sopra del livello del 3,67% per 15 anni, a mantenere sotto i 300 kg le scorte di uranio arricchito, nonché a non costruire nuovi reattori ad acqua pesante (vista la presenza ormai consolidata del reattore di Arak). Per gli Stati Uniti in particolare, la soluzione diplomatica della crisi con Teheran doveva mirare non solo alla riduzione, bensì alla cessazione dell’arricchimento dell’uranio iraniano, allo smantellamento delle centrifughe situate a Natanz e Fordow, e all’interruzione della produzione di plutonio nei reattori ad acqua pesante situati ad Arak. Il 7 luglio, ovvero poche settimane fa, Teheran, dopo aver violato i termini sulle quantità, è passata alla seconda fase di riduzione controllata degli impegni, annunciando di aver superato il livello di arricchimento dell’uranio portandolo al 5%. Inoltre, ha minacciato di continuare a ridurre il proprio impegno ogni 60 giorni, finché i firmatari non riprenderanno il rispetto degli accordi. Nel frattempo, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha confermato il superamento del limite di 300 kg fissato per le sue scorte di uranio a basso arricchimento (oltre al superamento della soglia di arricchimento).

DUBBI

L’ottemperanza dell’Iran all’accordo sul nucleare è oggetto di dubbi e incertezze. Il capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana Ali Akbar Salehi, ha affermato in modo propagandistico che l’Iran ha arricchito 24 tonnellate di uranio al momento della firma. La dichiarazione, inizialmente diffusa da Radio Farda, sarebbe trapelata dopo una riunione della fazione conservatrice del Parlamento iraniano, intenta a discutere degli ultimi sviluppi riguardo l’accordo.

Si tratta del gruppo di parlamentari più vicini alla figura dell’Ayatollah Khamenei, per questo motivo il discorso di Salehi va in quadrato nel più ampio sforzo di Teheran nel dimostrare all’Occidente di trovarsi in una posizione di forza. La dura critica dei conservatori locali nei confronti di Rouhani (considerato un moderato), reo di aver sponsorizzato l’accordo, si sta manifestando attraverso l’entusiasmo per aver mantenuto alto il potere deterrente del Paese.

Sempre a Radio Farda, poi ripreso dal Jerusalem Post, un analista politico iraniano, Reza Taghizadeh, ha spiegato che tutto l’uranio arricchito dall’Iran è destinato a dei magazzini dell’Aiea situati in Kazakistan. Dopo la consegna (che scatta oltre i 300 kg, ma in questo momento è bloccata per decisione iraniana) Teheran riceve in cambio dalla Russia dell’uranio di tipo Yellowcake – a basso arricchimento. Nonostante l’Aiea abbia verificato il superamento della soglia di arricchimento consentita, e malgrado la progressiva riduzione dell’impegno iraniano, l’uscente Alto Rappresentante Federica Mogherini non ha ritenuto le violazioni di Teheran sufficientemente significative da innescare meccanismi sanzionatori da parte dell’Unione.

LA BOMBA DI ARAK

Nella giornata di ieri, Salehi ha anche parlato della possibile ripresa delle attività nel controverso reattore ad acqua pesante di Arak, uno dei siti nucleari più problematici del Paese. L’acqua pesante è infatti “l’ingrediente” principale necessario alla produzione di Plutonio, l’elemento chiave per la costruzione di un arsenale atomico. Il futuro del reattore di Arak si stava discutendo proprio mentre in Europa i firmatari del Jcpoa stavano confermando il proprio impegno a salvaguardia ldell’accordo faticosamente raggiunto nel 2015.

La minaccia dell’Iran di riavviare il reattore ad acqua pesante di Arak fa parte della strategia di “respingimento della massima pressione”, ha rivelato al Telegraph Sanam Vakil, ricercatore senior di Chatam House. Molti analisti, tra cui quelli già citati, ritengono che l’Iran sia attualmente alla ricerca di una leva diplomatica da utilizzare per motivi economici: un’arma che anticipi l’estensione delle sanzioni che presto potrebbero giungere anche da Bruxelles se le violazioni dovessero diventare insostenibili.


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