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Ecco su cosa Cina e Stati Uniti saranno eterni rivali. L’analisi di Ian Bremmer

Di Ian Bremmer

Per i prossimi decenni le relazioni tra Cina e Stati Uniti definiranno l’ordine mondiale. È così da tempo, ma l’aggressivo perseguimento di una guerra commerciale con Pechino da parte del presidente statunitense Donald Trump ha spinto i rapporti tra i due Paesi ad un punto di svolta. Gli Usa hanno ormai definito ufficialmente la Cina “un rivale strategico”, ma, quella tra le due superpotenze, è una rivalità diversa da ogni altra cui il mondo abbia mai assistito finora.

Per centinaia di anni, la geopolitica ha seguito prevalentemente la regola illustrata dall’antico storico greco Tucidide: quando una potenza globale è in declino e ne emerge un’altra, i conflitti sono inevitabili. Alla Cina, tuttavia, non interessa sostituirsi agli Stati Uniti nel ruolo di maggiore potenza militare a livello mondiale, e del resto non è affatto chiaro se potrebbe riuscirci quand’anche ne avesse l’intenzione: attualmente, infatti, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) le spese per la difesa statunitensi ammontano a circa il triplo di quelle cinesi. E anche se di recente questa rivalità tra superpotenze si è manifestata nella sfera commerciale, la teoria economica moderna indica che la crescita economica può (e dovrebbe) essere un gioco a somma positiva: quando i paesi collaborano, la torta dell’economia globale cresce e tutti ne ricevono una fetta più grande. Inoltre, la realtà globalizzata e interdipendente delle dinamiche economiche del ventunesimo secolo rende troppo dispendioso per entrambi i paesi perseguire indefinitamente uno scontro economico. Esiste però un campo sul quale Cina e Stati Uniti sono destinati a scontrarsi, ed è quello della tecnologia.

 DUE MODELLI A CONFRONTO

La Cina è il primo paese a poter legittimamente rivendicare lo status di superpotenza tecnologica alla pari degli Stati Uniti. Negli ultimi vent’anni, Pechino ha concesso alle aziende occidentali il diritto di accedere al suo mercato di oltre un miliardo di consumatori e di operare entro i suoi confini solo a patto che vi trasferissero la propria tecnologia. È una politica che ha trasformato la Cina in una potenza tecnologica all’avanguardia (incentivata ulteriormente da casi di furto di tecnologia e proprietà intellettuale perpetrati da imprese sovvenzionate dallo stato e hacker cinesi) ma è anche il risultato di massicci investimenti da parte del governo cinese nelle proprie capacità tecnologiche: attualmente, per esempio, tra i 500 supercomputer più potenti al mondo quelli cinesi sono più numerosi di quelli statunitensi. Tuttavia, a preoccupare davvero i responsabili delle politiche occidentali non è tanto il livello di sviluppo raggiunto dalla Cina in termini di competenza tecnologica, quanto piuttosto l’entità del suo ulteriore margine di miglioramento, in particolare nel campo fondamentale dell’Intelligenza Artificiale (AI). Dal momento che considera l’AI il settore strategico del futuro per eccellenza, Pechino vi investe risorse da anni orientando la propria politica di conseguenza, più o meno come fanno gli Stati Uniti con certe tecnologie di difesa militare. Lo scorso febbraio gli USA hanno reso nota la propria strategia in materia di AI. Finora l’approccio statunitense all’AI rimane nel solco della tradizione: si preferisce che sia il settore privato a prendere l’iniziativa, mentre il governo si occupa di finanziare la formazione e, in parte, la Ricerca & Sviluppo.

Alla luce della più audace strategia cinese, tuttavia, questo approccio potrebbe rivelarsi insufficiente, soprattutto se si prendono in considerazione gli elementi strutturali alla base della competizione tecnologica tra Cina e Stati Uniti. In Cina, è il governo che sta investendo negli scienziati, sia in modo diretto sia tramite giganti protetti o favoriti come Alibaba o Tencent. Oltretutto, lo sviluppo dell’AI in Cina può trarre vantaggio delle enormi quantità di dati generate dalla diffusione di massa del commercio elettronico e dei sistemi di pagamento su dispositivi portatili. E quando si tratta di AI, questi dati sono di importanza cruciale: in futuro, lo sviluppo dell’AI passerà dall’iterazione del riconoscimento di pattern, dove la quantità di dati disponibili diventa decisiva (anche se la qualità dei dati cinesi potrebbe essere sospetta se paragonata a quella dei dati globali utilizzati dai ricercatori occidentali).

IL MODELLO USA

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ad avere il controllo degli sviluppi in materia di AI non è il governo, bensì le aziende private della Silicon Valley, il che limita i potenziali vantaggi diretti per Washington. Questa distinzione è di importanza cruciale, così come lo sono i suoi effetti a valle: i ricercatori di AI statunitensi, infatti, rendono pubblici i propri progressi, che diventano così agevolmente reperibili per i loro omologhi cinesi e per i colleghi occidentali. Gli imprenditori statunitensi evitano di ripetere la stessa ricerca per dedicarsi invece ad altre scoperte, il che è problematico per lo sviluppo dell’AI in questa fase, dove la pratica si sta ancora perfezionando.

E la natura della democrazia rende difficile per il governo statunitense sostenere con la propria influenza una tecnologia potenzialmente in grado di soppiantare centinaia di migliaia di lavoratori (o, per usare un altro termine, di elettori) nell’interesse della strategia geopolitica nazionale. Pechino, grazie alla sua capacità di controllare meglio la tecnologia e la società cinese, non ha questi timori, e in generale governo e cittadini sono entusiasti di abbracciare la tecnologia più avanzata, sia per una migliore governance sia per migliorare la qualità di vita dei cittadini.

Detto questo, le menti migliori e più innovative si trovano nella Silicon Valley e in Occidente, e il fatto che allo stato attuale l’AI riguardi soprattutto la raccolta e l’iterazione di big data non significa che continuerà a essere così anche solo fra cinque anni. Pertanto, nonostante tutti i vantaggi di cui dispone Pechino al momento, è ancora prematuro dire chi vincerà la competizione tecnologica.

LA LEZIONE DELLA GUERRA DEI DAZI

In questo scenario, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti prosegue. E anche se ci sono abbondanti ragioni per credere che alla fine si arriverà alla sigla di un accordo (la posta in gioco a livello economico e politico è troppo elevata per entrambe le parti perché lo scontro si trascini indefinitamente), l’unica eredità durevole della guerra commerciale sarà la lezione impartita a Pechino di essere troppo vulnerabile di fronte a un improvviso inasprimento della politica statunitense. Questo è sicuramente vero nel caso delle esportazioni agricole, ma lo è ancor più nel campo della tecnologia, dove il giro di vite statunitense ha quasi provocato il crollo del gigante di stato cinese ZTE e sta causando innumerevoli grane a Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni e della tecnologia. La competizione tecnologica è senza alcun dubbio in atto, ed entrambe le parti lo sanno: d’ora in avanti, dunque, preparatevi ad assistere ad altre battaglie normative. Più di ogni altra singola questione, quello sulla tecnologia è lo scontro geopolitico più aspro attualmente in corso nel mondo. E né la Cina né gli Usa intendono arretrare di un millimetro.

(Leggi qui tutti gli articoli della rivista World Energy Magazine)

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