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Risultati e prospettive dopo l’incontro tra Trump e Kim a Panmunjom

Domenica scorsa, il 30 giugno 2019, il presidente Usa Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-Un si sono incontrati al “villaggio della pace” di Panmunjom, per un incontro storico. La prima volta di un presidente nordamericano nella Repubblica Popolare e Democratica di Corea.

L’incontro, favorito inizialmente da un tweet del presidente Usa diretto proprio a Kim Jong-Un e redatto al G-20 di Osaka, è durato circa 50 minuti ed ha avuto già il suo primo risultato: il ristabilimento di una trattativa working level tra i due Paesi riguardo alla questione numero uno: la denuclearizzazione.

LA DENUCLEARIZZAZIONE

È bene subito affermare che, per l’élite del potere nordcoreana, la parola “denuclearizzazione” significa comunque: a) la eliminazione del potenziale N detenuto dalle Forze Armate nordamericane nella Corea del Sud, b) la eliminazione bilaterale dei sistemi missilistici tra il Nord e il Sud della penisola coreana, c) il mantenimento di un livello accettabile di energia N per la produzione di elettricità. E, infine, la garanzia di un livello accettabile di tecnologia nucleare che possa rimanere a Pyongyang anche dopo una trattativa efficace, qualora i venti politici in Usa, Giappone, Taiwan possano cambiare direzione.

Gli Usa, invece, cosa vogliono quando parlano di “denuclearizzazione” della Corea del Nord? In sostanza, il mantenimento di uno standard minimo, ma accettabile, di presenza militare in Corea del Sud, per evitare l’annessione manu militari di Seoul da parte di Pyongyang, il mantenimento di un blocco militare Usa di ben 15 basi al Sud, quindi un livello di dissuasione convenzionale che valga anche per il Giappone (e Taiwan) e una forza di first strike in Corea del Sud; per permettere l’azione successiva delle basi intorno alla Corea del Nord. Soprattutto Guam.

LE FORZE AMERICANE NELLA REGIONE

Si tratta di una Forza Armata, quella Usa, di ben 35.000 militari, mentre la presenza militare Usa in Giappone è solo di poco superiore, raggiungendo i 40.000 elementi. Inoltre, Kim Jong-Un sa molto bene che tutto vuole la Cina, salvo che confinare con delle basi militari Usa; e lo stesso pensa la Federazione Russa, anche solo per il breve confine tra sé stessa e la Corea del Nord. Da questo punto di vista, il Leader Kim Jong-Un ha la certezza di un sostegno forte e continuo, per la trattativa con gli Usa, da parte della Cina, in primo luogo, e della Russia in secondo.

Ma da ciò deriva anche che né Pechino né Mosca vogliono una Corea Popolare e Democratica troppo potente, tale quindi da richiamare azioni, anche militari, nella penisola e da riempire la Corea del Sud di soldati americani. La storia si ripete: la Cina, dopo le trattative segrete con Kissinger nel 1971 per aprire un rapporto con gli Usa, rassicurò subito i dirigenti nordcoreani che non sarebbero mancati gli aiuti di Pechino e che la distensione tra la Cina e gli Usa avrebbe favorito anche Pyongyang nei suoi futuri rapporti con Washington. Certo, una parte dell’élite del potere statunitense ha accarezzato spesso l’idea di una soluzione puramente militare e definitiva per Pyongyang.

Viene qui in mente la battuta di Togliatti quando, dopo la rivolta seguita all’attentato di Pallante contro di lui, disse a Pajetta, che aveva “preso” la Prefettura di Milano: “Bene, e ora cosa te ne fai?”. Ecco, cosa se ne farebbero gli Usa di un impossibile scontro, con una probabile escalation nucleare, ai confini di Russia e Cina? E come reagirebbero Mosca e Pechino alla perdita di un loro Stato amico, e come, ancora, reagirebbero gli altri Stati asiatici all’innesco di una guerra in Corea per “portare la democrazia”? Pura follia, e questo Kim Jong-Un lo sa benissimo. Meno lo sanno certi circoli Usa. Lo hanno saputo molto bene anche alcuni mediatori statunitensi con Pyongyang, come il mio indimenticabile amico Bob Gallucci. Certamente, la tensione che si era verificata tra Pechino e la Corea del Nord, subito dopo l’ascesa di Kim Jong-Un al potere, era l’unico vero errore strategico di Pyongyang, che il leader di Pyongyang ha rapidamente corretto, trasformandolo addirittura in relazione privilegiata.

SANZIONI E BOOM ECONOMICO

Per il leader nordcoreano, ci sono poi altri due successi da segnalare, nella trattativa con gli Usa: la verificata e sostanziale inutilità delle sanzioni internazionali, che non hanno affatto trasformato il potere nordcoreano; e il piccolo boom economico che ha accompagnato i primi anni del suo potere. E che deve essere assolutamente mantenuto. Ma Kim Jong-Un sa benissimo, anche, che la stessa sopravvivenza del Regime è legata alla crescita economica, stabile, robusta e di lungo periodo.

Certo, vi è una vera e propria “fazione cinese” nell’élite del potere nordcoreana, che combatte talvolta contro quella strettamente legata al sistema di Kim Il-Sung. Ma Kim Jong-Un si è anche accorto, dato che è un politico attento e capace di calcolare l’equazione strategica giusta, che non è affatto utile alienarsi la Cina, anzi. Le sanzioni contro la Corea del Nord, lo ricordiamo, sono state introdotte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con il voto favorevole, ricordiamo anche questo, della Cina e della Federazione Russa. Per toglierle, visto che tutti i membri del Consiglio di Sicurezza le hanno votate, sia pure con ben diverse motivazioni, occorre che tutti, ancora una volta, siano d’accordo.

Quindi, ancora, le sanzioni, almeno da parte degli Usa, potrebbero essere tolte se e solo se la Corea del Nord rinuncerà stabilmente ma, soprattutto, completamente, al suo armamento N e ai suoi vettori ICBM e ai lanciatori a medio raggio, che silenzierebbero rapidamente Guam, il Giappone, Taiwan e, ovviamente, la Corea del Sud. Certo, la IAEA si è dimostrata efficace, finora, nel monitoraggio di situazioni molto simili a quelle in cui si trova la Corea del Nord oggi. Ma può l’agenzia ONU di Vienna sostituirsi ad una scelta strategica? Ovviamente no.

LA TRATTATIVA DI BOB GALLUCCI

E allora, ritorna la formula che caratterizzò la trattativa di Bob Gallucci con il regime di Pyongyang, trattativa che iniziò nel 1993: lo smantellamento del reattore di Yongbion, la fonte unica, per quel che se ne sa, del plutonio nordcoreano, ma in cambio dell’accettazione, da parte degli Usa e della IAEA, di due reattori ad acqua leggera, di tipo civile, per la sola produzione di energia elettrica. L’Agreed Framework posto in atto da Bob Gallucci durò circa nove anni, anche malgrado tutte le ripicche, da parte del Senato Usa dominato dai repubblicani, sui trasferimenti di materiale fissile, tecnologia ed altro. D’altra parte, la questione nucleare della Corea del Nord è lo specchio di una questione politica e strategica ancora più profonda.

UNA QUESTIONE DI STRATEGIA

Se è crollata l’URSS, che era il maggiore sostenitore di Pyongyang negli anni ’70 e ’80, con la Cina in seconda posizione, il consiglio che Pechino dette alla Corea del Nord di allora fu quello di iniziare le “Quattro Modernizzazioni” anche a Pyongyang, per non fare la fine dei sovietici. Ma la domanda dell’élite del potere nordcoreana fu semplice e razionale: cosa ne sarà di noi e del regime, se apriamo le porte alle riforme economiche e poi inevitabilmente politiche che voi cinesi state adottando? Ed ecco, quindi, l’uso politico del nucleare da parte della Corea Popolare e Democratica, un uso che prevede anche, a determinate condizioni, perfino lo smantellamento delle armi N, stante l’eliminazione delle sanzioni e un flusso di aiuti dall’occidente, anche per ridurre la “mano invisibile” dei cinesi a Pyongyang.

Gli Usa vorrebbero uno smantellamento di tipo CVID (Complete, Verifiable, Irreversible Dismantlement) secondo il dettato della Risoluzione ONU 2270 del 2016. Per Pyongyang, invece, lo smantellamento delle armi nucleari comporta anche la rimozione di 28.500 militari Usa, dei 35.000 di stanza in Corea del Sud. Una soluzione possibile, ma anche questa tutt’altro che facile, è il semplice congelamento del programma nucleare nordcoreano. Kim Jong-Un ha spesso accennato al fatto che la Corea del Nord stessa potrebbe rinunciare a continuare le proprie ricerche in campo nucleare e missilistico. È già stato chiuso, unilateralmente dal governo di Pyongyang, il sito di Punggye-ri.

Sarebbe, anche questa del congelamento, una soluzione razionale: la Corea del Nord non sarebbe costretta a smantellare per prima i suoi sistemi d’arma N, esponendosi e evidenti rischi di destabilizzazione militare e politica, gli Usa avrebbero la certezza che il potenziale nordcoreano rimane stabile, e si tratta di un sistema N che Washington può già contrastare, infine per la Corea del Sud si aprirebbe la possibilità, economicamente importantissima, di riprendere una robusta Sunshine Policy.

IL RUOLO DEL GIAPPONE

Il Giappone, che si sta comunque riarmando, vedrebbe una occasione per riaprire con Pyongyang l’annosa questione del rapimento dei propri cittadini da parte della Corea del Nord, la Cina non vuole certo il cambiamento dell’equilibrio delle forze nella penisola coreana, ma avrebbe spalancato, per i suoi prodotti, un mercato da cento milioni di nuovi consumatori, infine c’è la Russia, che potrebbe sostenere un “nuovo corso” nordcoreano con aiuti economici e sostegno politico, evitando che Pyongyang sia costretta a comprare il pane in un solo forno, quello cinese.

Peraltro, anche il nucleare militare della Corea del Nord, venduto a moneta “forte” a molti clienti, è una fonte tutt’altro che trascurabile di introiti per il regime di Pyongyang. Quindi, garantire alla Corea del Nord i mancati proventi derivanti dalla vendita delle tecnologie N e missilistiche, ma stabilire anche una tempistica razionale per il progressivo smantellamento delle strutture N di Pyongyang. E questo insieme all’efficace, non fittizia, rimozione delle sanzioni alla Corea del Nord, che sono così severe che distruggerebbero anche una ricca e diversificata economia di tipo occidentale.

Peraltro, la Corea del Nord potrebbe, inizialmente, sospendere solo i testi degli ICBM, i missili intercontinentali, mantenendo, ma per un breve tempo, le esercitazioni con i missili a breve e a medio raggio, pensati per colpire il Giappone. Si eviterebbe, così, un vuoto di potere nell’area che potrebbe far gola a molti, soprattutto nel Sud-est asiatico. Ma bisognerà studiare la componente N dei sottomarini di Pyongyang, che potrebbe uscire dal quadro delle trattative.

VECCHI E NUOVI TRATTATI POSSIBILI

Si potrebbe poi chiedere alla Corea del Nord di rientrare nel CTBT (Comprehensive Test-Ban Treaty). Inoltre, l’indebolimento strutturale del sistema militare nordcoreano dovrebbe essere accompagnato da un Trattato, firmato dagli Usa e dai suoi alleati nell’area del Pacifico, che garantisca a Pyongyang che Washington o altri non ne approfitteranno in nessun modo, della nuova debolezza della Corea del Nord. E ancora, gli Usa, in cambio della denuclearizzazione, potrebbero trasformare l’armistizio del 1953 in un vero e proprio Trattato di Pace, con il mutuo riconoscimento diplomatico e l’apertura di canali commerciali e finanziari normali.

Ma gli Usa hanno bisogno di non essere soli, nel procedere della lunga trattativa con Pyongyang. Se l’Unione Europea esistesse in politica estera, non solo per le incompetenti chiacchiere sui bilanci, questa sarebbe una buona occasione per venire alla luce. Ma non accadrà. Certo, un accordo a tre tra Usa, Cina e Federazione Russa sarebbe l’ideale. Permetterebbe di diluire la tensione regionale, favorirebbe lo scambio tra economia e politica militare, in Corea del Nord, e consentirebbe a Mosca e a Pechino di mettere in chiaro i propri interessi a Pyongyang. Inoltre, si potrebbe pensare ad una Banca per la Trasformazione della Corea, che favorirebbe la modernizzazione dell’industria di Pyongyang e permetterebbe l’avvio di quel benessere diffuso che è la sola garanzia, per Kim Jong-Un, di una sua lunghissima permanenza al potere.


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