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L’Iran spinge sull’uranio mentre Macron s’intesta le trattative

La lunga telefonata last minute di ieri sera tra il presidente francese, Emmanuel Macron, e il collega iraniano, Hassan Rouhani, non ha sortito gli effetti sperati dall’Eliseo (e non solo). Almeno non quelli immediati. L’Iran non ha rinunciato alla decisione — annunciata già nei giorni scorsi dallo stesso Rouhani – di iniziare ad aumentare le percentuali di arricchimento dell’uranio, e da oggi porta il livello al 5%, superando il limite di 3,67 permesso dall’accordo sul nucleare del 2015 (il Jcpoa). Un valore più che altro simbolico, che non altera troppo i tempi di break-out (ossia quelli che intercorrono tra l’arricchimento per produzioni civili e quello per scopi militari), ma si tratta della seconda violazione nel giro di due settimane. In precedenza Teheran ha sforato la quantità massima di materiale radioattivo da tenere in proprio possesso consentita dal Jcpoa.

Mosse pensate come tattica per pressare l’Ue, che secondo gli iraniani non sta facendo abbastanza per tenere in piedi l’accordo dopo che Donald Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’intesa, che a suo modo di vedere non era sufficiente a fermare le “attività maligne” che la Repubblica islamica perpetra nella regione (programma missili balistici, subdoli piani pseudo-egemonici, e non ultimo la sincerità sull’accordo, che però è stato sempre certificato dall’agenzia per il nucleare dell’Onu).

L’Europa ha creato Instex, strumento presentato recentemente su spinta franco-tedesca per proteggere le transizioni con l’Iran dalle ripercussioni delle sanzioni americane. Ma funzionerà solo su beni di prima necessità, cibo e medicine, ossia non sul petrolio. L’export del greggio è il principale asset economico statale per l’Iran, ed è per questo che gli americani stanno alzando al massimo la pressioni per portare a zero il mercato degli ayatollah. Bruxelles non ha forza. Macron già due anni fa — mentre la Casa Bianca preparava l’uscita — prometteva che avrebbe fatto di tutto per tener vivo l’accordo, ma nella realtà le aziende francesi sono state le prime ad abbandonare l’Iran, per evitare di cadere nelle sanzioni secondarie Usa. Total ha abbandonato — con penali — il piano di investimenti miliardario deciso con le controparti della Repubblica islamica; le aziende automobilistiche del PSA programmavano il rinnovamento del vetusto parco macchine iraniano, ma hanno mollato l’idea; Decathlon programmava la diffusione con mille negozi, ma ha aperto un solo, modesto punto vendita a Teheran.

Il viceministro degli Esteri Abbas Araqchi ha già precisato che l’Iran “vuole ancora salvare l’accordo”, però è l’Europa che non ha mantenuto i suoi impegni”. La Francia si è intestata la fase di negoziazione con la telefonata di ieri, dopo aver inviato nelle settimane scorse a Teheran il top negoziatore dell Eliseo. Rohani e Macron hanno comunque concordato di riprendere i negoziati “dal prossimo 14 luglio”. Parigi non vuole aprire la procedura di infrazione che potrebbe portare alla reintroduzione delle sanzioni Onu. Gioca la mediazione puntando su modifiche dell’accordo del 2015 per un allungamento dei tempi necessari per arrivare alla bomba. La speranza è dimostrare che Teheran è disposto a trattare: aspetto che dovrebbe essere usato per coinvolgere nuovamente gli americani nei negoziati o farli rientrare nell’intesa, così da ritornare alla sospensione delle sanzioni. A Rouhani un altro compito complesso: convincere i falchi annidati attorno ai Pasdaran che l’accordo può ancora funzionare, oppure dimostrare forza per obliterarli. Farlo adesso che con un livello di conflitto retorico, e pratico a bassa intensità, hanno ricostruito un po’ del consenso perso in precedenza non sarà facile.

 

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