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Missili balistici e petroliere. Il cuore dello scontro Usa-Iran

L’Iran ha dichiarato martedì che il suo programma di missili balistici non è negoziabile ed è una risposta diretta al segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che invece aveva detto che l’Iran “per la prima volta” aveva segnalato nei giorni scorsi di essere disposto a negoziarlo, così da aver “l’opportunità di negoziare un accordo che impedirà di fatto all’Iran di avere un’arma nucleare“. “I missili dell’Iran […] sono assolutamente e in nessuna condizione negoziabili con chiunque o con qualsiasi Paese, in qualsiasi periodo”, ha twittato Alireza Miryousefi, portavoce della missione iraniana presso le Nazioni Unite.

Bluff e controbluff? Da settimane, in mezzo alla contesa del Golfo tra Usa e Iran, si susseguono voci su contatti in corso. Backchannel — facilitati anche da altri Paesi e circostanze, gli omaniti, una visita del premier giapponese a Teheran, il Kurdistan iracheno da cui americani e iraniani hanno combattuto sullo stesso fronte lo Stato islamico. Punti di contatto.

L’OBIETTIVO DELLA CASA BIANCA

Quello che vorrebbe la Casa Bianca è un accordo con cui Donald Trump possa obliterare l’intesa sul nucleare del 2015, il Jcpoa, considerato l’eredità in politica internazionale del suo predecessore Barack Obama. Da cui Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti — indiscrezioni uscite da cablo diplomatici inglesi dicono che il presidente abbia deciso il ritiro proprio in chiave anti-Obama, ricerca di consenso, e pare credibile se si considerano le volte in cui ha criticato il suo predecessore proprio partendo dal Jcpoa.

Washington ha re-introdotto la panoplia sanzionatoria contro Teheran nel tentativo di piegare gli iraniani e farli sedere in condizioni di inferiorità, così da negoziare un accordo ampio, che comprenda il nucleare così come il programma missili, e pure il piano di influenza che l’Iran usa per mire egemoniche e geopolitiche sulla regione tramite attori non statali. Forze politiche fedeli distribuite in Stati-chiave (Iraq, Siria, Libano), costantemente foraggiate dagli ambienti più aggressivi a Teheran. Un aspetto che interessa molto gli alleati mediorientali americani. Anche per questo il governo statunitense ha preso provvedimenti duri contro il partito/milizia libanese Hezbollah, il più potente dei gruppi collegati ai Pasdaran. L’obiettivo sarebbe quello di creare un quadro completo di contenimento all’Iran, con cui costruire un sistema di sicurezza regionale che piace agli Usa — cosa che al Jcpoa non era riuscito secondo alcuni analisti, sebbene fosse molto funzionale per quel che riguarda il programma atomico.

E TEHERAN COME SI MUOVE?

Teheran tiene il punto e cerca di mostrarsi robusta. Compie attività di plausible deniability sullo Stretto di Hormuz, disturba i traffici del petrolio come da peggior scenario. Ieri il ministero degli Esteri di Teheran ha fatto sapere che battelli dei Pasdaran hanno rimorchiato verso un porto iraniano un’imbarcazione emiratina che transitava nell’area finita “in panne”. Gli Stati Uniti precisano che la nave aveva perso il contatto con l’armatore da sabato notte, fonti della difesa dicono alla decana dei corrispondenti dal Pentagono, Barbara Starr della Cnn, che le intelligence sospettano che possa essere stata sequestrata. Abu Dhabi, che già in occasione dei sabotaggi davanti all’hub di Fujairah aveva preso una posizione cauta, dice che la nave non è sua: batte insegne panamensi e dietro certe attività ci sono sempre delicate questioni di bandiera. La Piccola Sparta ha spinto per un ingaggio con l’Iran, ma vuole mantenere basse le intensità. Tutti temono un conflitto aperto, e lo stesso Trump è tornato a ribadire ieri che tutto vuole fuorché una guerra contro la Repubblica islamica.

COME SI COMPORTANO GLI ALTRI PAESI

Le petroliere sono fisicamente al centro dello scacchiere e del dossier, tanto che gli americani stanno cercando di costruire una coalizione con cui creare deterrenza davanti alle coste iraniane e scongiurare incidenti. Per il momento partecipano gli inglesi, che hanno inviato ieri la terza nave militare nell’area (due hanno già scortato altrettante petroliere nei giorni scorsi), ma il più accreditato tra i conservatori in corsa per entrare a Downing Street, il trumpiano Boris Johnson, ha già detto che non seguirà gli Usa in eventuali operazioni militari contro l’Iran. Il Giappone potrebbe essere della partita, Francia e Spagna avrebbero declinato.

LA STRATEGIA DI WASHINGTON È CORRETTA?

Alcuni osservatori — per esempio Ilian Goldenberg del Cnas — fanno notare che Trump avrebbe dovuto seguire con l’Iran la strategia adottata da Israele sulla Siria. Operazioni segrete, clandestine, attività punitive sotto traccia, e meno proclami; le azioni con cui gli israeliani cercano da anni di disarticolare gli scambi di armi tra iraniani e Hezbollah nel caos siriano sono tostissime, oltre duecento raid aerei, un migliaio di Pasdaran uccisi, in missioni mirate quasi mai rese pubbliche da Gerusalemme e su cui l’Iran non ha mai fatto uscire un commento. Azioni del genere avrebbero messo in difficoltà effettiva Teheran, senza esporre Washington: Trump invece ha scelto di esporsi pubblicamente.

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