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A Tripoli il fronte è fermo. Scoperto di nuovo il bluff di Haftar

La fantomatica “ora zero” è scattata da quattro giorni, ma le forze che il signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, chiama — mostrando la sua chiara ambizione politico-egemonica — Esercito nazionale libico (Lna) non si sono mosse di un centimetro. Il fronte a sud di Tripoli è fermo. Il 4 aprile l’autoproclamato Feldmaresciallo aveva promesso ai suoi uomini, soprattutto a quelli ingaggiati per la missione sulla capitale, che lo scacco finale sarebbe stato una passeggiata. Soldati accolti tra i fiori in strada, poche ore e tutta la Libia sarebbe stata sotto il suo controllo. Da lì sarebbe diventato il nuovo raìs. Si combatte da quattro mesi, i morti sono più di mille, e gli haftariani sono in stallo. Hanno perso un avamposto tattico fondamentale, le colline di Gharyan, che in queste ore stanno martellando di bombardamenti, e arretrano in altre aree. Le forze di difesa tripolitane — intervenute soprattutto da Misurata e più per respingere l’aggressione che per proteggere il governo onusiano di Tripoli — resistono, tengono botta, a tratti contrattaccano.

I PROBLEMI DI HAFTAR

Il Feldmaresciallo non sembra avere spazi a sufficienza e questo gli sta creando due generi di problemi. Primo, i suoi sponsor esterni come Egitto, Emirati Arabi, e Arabia Saudita si stanno spazientendo. Faticano a reggere il peso politico e diplomatico della campagna su Tripoli davanti alla Comunità internazionale. Tant’è che Abu Dhabi e il Cairo hanno aderito a un documento multilaterale “Made in Usa” in cui si chiede il cessate il fuoco immediato e il ritorno sulla via negoziale — sono posizioni necessarie, si potrebbe dire di facciata, imprescindibili, ma anche segnali e messaggi. Il secondo genere di problemi per Haftar riguarda le sue truppe. Sono mercenari e miliziani, non professionisti, e la lentezza del fronte, della guerra di posizione logora fisico e animo. Dalla Libia si segnalano come demotivati, in difficoltà anche perché la lunga catena dei rifornimenti che parte da Bengasi (700 chilometri da Tripoli) è complicata, e continuamente a rischio quando sbocca in Tripolitania. Ieri il profilo Facebook dell’Lna ha rilanciato un discorso di incitamento di Haftar, ma non è chiaro quale presa abbia sui combattenti. Anche per questo sono segnalati contatti continui tra gli haftariani e i salafiti della milizia Rada, compagine tripolina che si occupa di sicurezza interna, che il Feldmaresciallo corteggia tentando la sponda saudita (e quella di una fazione amica extra-Lna). Ma finora con scarso successo. Sarebbe un rinforzo fondamentale: al momento Rada non partecipa attivamente al fronte difensivo, ma non sta nemmeno col Feldmaresciallo (che un tempo certe realtà le ha combattute).

LA STANCHEZZA DEI LIBICI

Una fonte da Misurata ci dice che “ormai i libici disposti a combattere con Haftar sono pochi”, anche per questo i suoi sponsor starebbero cercando rinforzi dai paesi del sud, giovani mercenari pronti a imbracciare le armi per soldi come via d’uscita drammatica dalla disperazione. Tre giorni fa un L-39 Albatros dell’aviazione haftariana è atterrato in Tunisia. Secondo la nostro fonte è stato “un atto di fuga, una diserzione”. “Il pilota era stanco di bombardare i compatrioti”, spesso anche obiettivi civili — attacchi come quello tra i quartieri del sud a fine aprile, o al centro migranti e su di un ospedale tra l’altro sono coincisi con i ruggiti di Haftar, e dunque si teme che possano ripetersi a breve visto che il bluff sull’ora zero per la conquista s’è ormai scoperto. Le informazioni misuratine sono confermate dal ministro della Difesa tunisino, che aggiornando il parlamento sulla vicenda ha detto che il pilota libico, un colonnello sotto la custodia delle autorità tunisine, “è fuggito dal conflitto”. Reazione dalla Cirenaica: il ministro è al libro paga del Qatar, dice la propaganda haftariana — Qatar e Turchia sono gli attori esterni che aiutano Misurata, e dunque la difesa di Tripoli.



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