Pochi giorni fa, in un’intervista esclusiva al quotidiano britannico Financial Times, il presidente russo ha argomentato la teoria che il liberalismo – ovvero la dottrina per cui i diritti inviolabili e le libertà dei cittadini sono caratteristiche naturali dell’individuo nella società, e per questo vanno assicurati dalla legge – è diventato obsoleto.
LA VISITA DI PUTIN IN VATICANO
“Questa idea è entrata in conflitto con gli interessi della maggioranza della popolazione. Parte dal presupposto che non si possa fare niente. Che i migranti possono uccidere, fare razzie e stuprare senza essere puniti perché i loro diritti come migranti devono essere tutelati”. Ora, pochi giorni dopo aver rilasciato queste affermazioni politico-filosofiche, il presidente russo arriva a Roma e in Vaticano incontrerà papa Francesco. Tra i due, secondo l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, ci sarebbe ampia convergenza su tanti punti, tra i quali ha citato in particolare “la questione dei migranti e dei rifugiati”. Il 4 febbraio scorso, come a Mosca sanno benissimo, papa Francesco ha firmato una storica Dichiarazione sulla fratellanza nella quale si afferma di parlare anche “in nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante”. E lunedì prossimo, in San Pietro, il papa presiederà una celebrazione eucaristica per ricordare il suo viaggio a Lampedusa dell’8 luglio 2013, quello durante il quale scandì il famoso ammonimento biblico “dov’è tuo fratello?”.
UN RAPPORTO NON SEMPLICE
Le cose sono forse un po’ più complesse di come le vede l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, senza con questo togliere il rilievo che oggettivamente il colloquio ha, anche per i teatri di crisi più gravi, nei quali la Russia ha certamente un ruolo di primo piano, a cominciare dall’Ucraina, dalla Siria e dal Medio Oriente, dove la questione iraniana rimane gravissima. La geopolitica della misericordia di papa Francesco non può escludere, e quindi riterrà con ogni probabilità di rispondere alle esigenze di riconoscimento, inclusione e rispetto poste dalla Russia, che è stata guardata come un soggetto insignificante e marginale della storia dopo il disfacimento dell’impero sovietico. Le sofferenze inflitte al popolo russo non possono essere dimenticate, come l’importanza che la Russia ha per l’Europa.
L’INVITO DI PUTIN AL PAPA
Ma non ci sono solo i teatri di crisi, che certamente avranno un grande rilievo nei colloqui. Nelle ore trascorse tutti i giornali del mondo sono stati scossi da un altro interrogativo: davvero Vladimir Putin potrebbe invitare papa Francesco a Mosca? Sarebbe uno sviluppo tanto importante quanto atteso, di enorme rilievo per tutti i cristiani. Impossibile non considerare dunque, come si è rischiato di fare, che in particolare per questo occorrono due inviti: quello di Putin, presidente della Repubblica, e quello di Sua Beatitudine Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Se il secondo mancasse cosa significherebbe questo viaggio? In un’intervista rilasciata a Vatican News ieri monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo metropolita di Mosca e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici della Federazione Russa ha affermato: “Papa Francesco ci tiene che, in una determinata nazione, sia il potere politico a fare un invito formale. Ma deve essere soprattutto la realtà religiosa di quel luogo che si deve interessare ad avere come ospite il Papa. E fino a questo momento mi sembra che da parte della Chiesa ortodossa in Russia, l’elemento religioso più significativo, non ci sia un invito ufficiale. Quindi non penso che il Presidente russo possa fare di sua spontanea volontà un passo tale senza avere un chiaro sostegno da parte della Chiesa ortodossa”.
LA RESISTENZA DEL PATRIARCATO
Il fatto sorprendente è che nelle stesse ore il Cremlino faceva sapere che oggi avrebbe reso noto se il presidente avrebbe invitato il papa a Mosca. Per il momento il chiarimento non c’è stato. Tutto dunque sembrerebbe confermare un desiderio del Cremlino e una resistenza del Patriarcato. Come mai? Dal punto di vista del presidente russo la visita del Papa servirebbe a rafforzare l’ immagine dello zar tornato protettore dei cristiani d’Oriente, o più precisamente del Medio Oriente. La sua finalità è diventare il dominus regionale, tenendo i cristiani come sua “dotazione personale”. La loro questione sta certamente a cuore al Papa, che però ha indicato non la strada della protezione, ma quella della piena e pari cittadinanza per loro nei loro paesi. Il fatto che al recente vertice de La Mecca i leader arabi non abbiano speso una parola in questo senso, limitandosi alle solite condanne del terrorismo e della violenza, non ha deposto a favore della loro lungimiranza, nella quale pochi fanno affidamento.
IL DONO DI FRANCESCO
E il patriarca? Davvero potrebbe non credere nel miglioramento delle relazioni tra cristiani? Eppure i segni ci sono. Nei giorni trascorsi Francesco ha deciso di donare al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, nove frammentazioni ossei che il Vaticano ritiene verosimilmente reliquie di San Pietro. Quelle reliquie il papa che Francesco ama di più, Paolo VI, le volle nella sua cappella. Che il vescovo di Roma doni al patriarca ecumenico di Costantinopoli, primus inter pares dell’ortodossia, proprio frammenti ossei appartenuti a San Pietro, o tali ritenuti, non è solo un gesto importante. È enormemente di più. Per la tradizione occidentale il vescovo di Roma è il successore di Pietro. Per la tradizione orientale, ortodossa, tutti i vescovi sono successori di Pietro, e il patriarca di Costantinopoli è il primus inter pares. Il dono dunque appare un gesto enorme a tutta l’ortodossia, indicando in modo altissimo la via dell’unione sinodale. Cosa vuol dire? Con precisione assoluta Ioannis Zizioulas, metropolita ortodosso di Pergamo, spiegava già nel 2003: “Ricordo che tradizionalmente il primato del vescovo di Roma, così come si era strutturato lungo i secoli, veniva considerato nella Chiesa ortodossa come una specie di imperialismo religioso, non conforme alla tradizione sinodale della Chiesa, che prevede che membri dell’episcopato, in quanto successori degli apostoli, esercitino collegialmente il ministero dell’autorità. Negli ultimi decenni, si sono aperte chances per riconsiderare la questione in una prospettiva nuova. Quella aperta dalla ecclesiologia di comunione indicata anche dal Concilio Vaticano”.
Forse il nervosismo del patriarca di Mosca deriva anche da questo, ma se l’invito non ci sarà pochi dubiteranno che sia stato per le resistenza del patriarca, molto attento alla questione dei pesi: e sulla questione del preteso no al riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa in Ucraina nessuna Chiesa ortodossa si è fin qui sbilanciata a dargli ragione.