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La tregua nel governo non sblocca il Pil. L’allarme dell’Upb

Mentre le ombre della crisi si allungano sul governo per poi dissolversi in una manciata di ore, c’è chi ricorda che l’Italia è un Paese che non cresce, non fa Pil e soprattutto è dipendente da creditori internazionali che ogni anno finanziano il nostro debito per 400 miliardi. Nella tarda mattinata, proprio mentre la burrasca iniziata ieri cominciava a placarsi, l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) diffondeva una nota (qui il testo) nella quale rammentava l’amara verità.

PIL RASOTERRA

E cioè che “dopo il timido accenno di ripresa del primo trimestre dell’anno, l’economia italiana ha subito un nuovo stop“. E per questo il Pil crescerà solo dello 0,1% nel 2019 e dello 0,7% nel 2020. “Occorrerà attendere la seconda parte dell’anno per intravvedere qualche segnale di recupero: un recupero insufficiente a spostare significativamente le lancette del barometro economico dallo zero per il 2019. La situazione dovrebbe gradualmente migliorare il prossimo anno anche se, quanto più l’orizzonte di previsione si allunga, tanto più crescono incertezza e potenziali incognite”.

IL FATTORE IVA

C’è però un dettaglio. Il dato 2020 è influenzato dal blocco delle clausole Iva, per le quali servono 23 miliardi di euro. Se in fatti l’Iva salisse, scrive l’Upb, la crescita per l’anno prossimo si fermerebbe allo 0,4%. “Dopo il nuovo indebolimento in primavera l’attività economica si dovrebbe rafforzare gradualmente nella seconda parte dell’anno, sostenuta dal recupero del commercio internazionale e dalle misure espansive approvate con la manovra 2019. La ripresa sarebbe sostenuta dalla domanda interna; i consumi delle famiglie beneficerebbero delle misure a sostegno del reddito e del miglioramento del mercato del lavoro”, chiariscono i tecnici del Parlamento.

TROPPA INCERTEZZA

Un altro fattore di cui chi sta al governo dovrebbe tener conto, è l’incertezza di chi investe, ovvero famiglie e imprese. “Il miglioramento registrato dal mercato del lavoro non sembra tuttavia sufficiente ad allentare l’incertezza di famiglie e imprese. Pur mantenendosi al di sotto dei massimi del 2013-14, l’indice di incertezza peggiora dallo scorcio finale dell’anno passato”.

OCCHIO ALLO SPREAD

Proprio oggi, complici le tensioni nel governo, lo spread che da 4 giorni si trova sotto i 200 punti base (era a 280 due settimane fa), ha ricominciato a correre. Certo, la quota 300 appare lontana ma non bisogna mai dimenticare che l’Italia continua a pagare tassi d’interesse molto più elevati di tutti gli altri Paesi europei, Grecia esclusa. La Spagna offre agli investitori 1,14 punti percentuali meno di noi. Il Portogallo 1,08 punti in meno.

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