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Perché (sei anni dopo) è importante ricordare padre Dall’Oglio

Lunedì 29 luglio, ore 11. Per la prima volta, sei anni dopo il sequestro di padre Paolo Dall’Oglio, tre suoi congiunti, il fratello Giovanni e le sorelle Francesca e Immacolata incontreranno la stampa. Ci sono notizie? Novità? La domanda viene spontanea a tanto tempo di distanza dal sequestro del gesuita romano e solo lunedì mattina, quando i congiunti di questo nostro concittadino diranno quel che riterranno di rendere pubblico potremo sapere la risposta, dal loro punto di vista. Ma io credo che la grande novità sia che sei anni dopo il suo sequestro si ricordi da parte italiana soltanto la menzione da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della più significativa occasione, il suo discorso di insediamento. Per il resto richieste di silenzio stampa, generiche affermazione di “operosità”, e poco altro.

Iniziative? Partiti? Movimenti? Spirito patriottico davanti al sequestro di un cittadino italiano? Poco. Certo, Dall’Oglio è, o forse era, anche un sacerdote, un gesuita. E la voce più importante della sua Chiesa, quella del Papa, si è fatta sentire più volte. Ma quella delle Chiese siriane, per le quali ha dato 30 anni di vita? E quella di Roma, la città dove è nato? Quando come associazione dei suoi amici organizzammo un sit-in, pochi mesi fa, per ricordarlo in un momento delicato, nessuno amministratore o esponente consiliare ci ha fatto sapere almeno di essere solidale. Certo, le notizie oggi fanno rumore nell’immediatezza, il mondo sembra cadere in quel momento, poi tutto sparisce, per sempre. Chi ricorda padre Macalli, sequestrato nel Niger, chi ricorda Silvia Romano, sequestrata in Kenya, chi ricorda Luca Tacchetto, sparito dopo essere arrivato in Burkina Faso con la sua fidanzata canadese? E chi ricorda padre Paolo?

Ricordare lui vuol dire ricordare una persona che ha consapevolmente scelto di andare incontro alle più inquietanti incognite. Perché? Gli arabi hanno un proverbio molto interessante, dice “tu vai al pellegrinaggio quando tutti tornano”: indica il ritardo nel capire. Ecco, nel caso di Paolo si potrebbe coniare un proverbio tutto nuovo, “tu vai a Raqqa quando tutti fuggono”. Perché? Perché andare a Raqqa nel luglio del 2013? Perché Paolo aveva capito quel che di lì a qualche mese sarebbe accaduto, il Mediterraneo e il Medio Oriente sarebbero cambiati in modo sconvolgente se la storia avesse seguito il corso che lui presumeva, se l’Isis avesse fatto esplodere i confini di Siria e Iraq, coinvolgendo i curdi, i turchi e tutti gli altri attori già coinvolti in un incendio regionale. Era l’incendio perfetto, la follia genocidiaria dell’Isis avrebbe fatto da contrappeso alla follia genocidiaria di Assad, la fuga dalla Siria e dall’Iraq avrebbe coinvolto milioni di persone, l’intera Europa ne sarebbe stata sconvolta. È andata esattamente così. Il passato svanisce, svapora, nessuno lo ricorda, ma qualcuno potrebbe sovvenirsi che nel 2013 c’era un’operazione, Mare Nostrum, che godeva del consenso popolare.

E poi? Cosa è successo per trasferire quel consenso dall’operazione Mare Nostrum all’operazione Porti Chiusi? Non c’è stata l’apocalisse siriana? E come è emerso l’Isis se non grazie alla follia genocidiaria di Assad? E chi l’aveva vista, chi aveva urlato che tutto sarebbe saltato, che nulla sarebbe sopravvissuto a quell’incendio? Lo aveva previsto lui, lo aveva detto lui, quell’uomo corpulento e mite che sul finire di luglio del 2013, prima della strage chimica della Ghouta, cioè quando centinaia di bambini stavano per essere gassati nel sonno, prese la strada di Raqqa mentre tutti fuggivano. E perché lo fece? Perché doveva stare accanto a chi sarebbe stato travolto per primo dalla furia devastante del nuovo uragano. L’uragano Isis e l’uragano Assad sono un uragano solo, in Siria non c’è mai stata una guerra, ma un incontro di forze determinate ognuna per proprio conto a distruggere l’ordine liberale. E ci sono quasi riuscite. Solo andando a Raqqa la coscienza di Paolo trovava quiete, i suoi conti con sé stesso e con la storia tornavano.

Paolo sapeva che sarebbe stato possibile controllare quell’incendio solo tenendo insieme cristiani e musulmani, evitando che i cantori dell’odio soffiassero sulla paura degli uni e la rabbia degli altri. La sua teologia del dialogo era chiarissima, coraggiosa e chiara. Amava dire con parole sferzanti per gli apostoli dell’odio e della paura che i monasteri cristiani indicano che non c’è miglior protezione del buon vicinato. Il buon vicinato dei credenti, il buon vicinato delle fedi nel medesimo Dio. Ma alla Chiesa conciliare che aveva avviato con coraggio la grande novità del dialogo anche con l’Islam senza però mai nominare Maometto, il profeta dell’Islam, lui chiedeva di andare avanti. Il suo approccio sembrava eccessivo, “Innamorato dell’Islam, credente in Gesù”, un libro ai confini dell’apostasia. Poi sono arrivati due uomini, Jorge Mario Bergoglio e Ahmad Tayyeb, e hanno firmato ad Abu Dhabi, nel cuore della penisola arabica un testo congiunto nel quale si dice: “ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.

Per i cantori di ogni fanatismo e di ogni integralismo è una mazzata durissima. Quale fanatico, lefebvreiano o wahhabita, può accettare questa “sapienza divina”? Per Paolo e tanti altri operai di questa sapienza, come il beato Pierre Lucien Claverie, quel giorno è stato il giorno più bello, il giorno in cui tante loro fatiche hanno dimostrato di aver dato un frutto insperato. Ma restando solo a Paolo, sequestrato come migliaia di altri siriani, eroi com e lui, per capire che sequestro è stato il suo sequestro, che verità si è voluta occultare dai due lati di una barricata che in realtà unisce i contendenti contro di noi, per indurci a odiare odiando, a pensare di sconfiggere il terrorismo con il terrorismo, non c’è bisogno di capire questa fantastica “sapienza divina”, basta rileggere la storia del nostro recente passato e smascherare i cantori dell’odio. Per questo è importante sapere chi ha sequestrato Paolo, perché non ha osato rivendicarne il sequestro. Se l’Isis avesse temuto la rabbia popolare musulmana per il sequestro di un monaco cristiano non sarebbe un fatto gigantesco? E se lo avessero preso altri non sarebbe altrettanto importante? In verità io dico che è necessario sapere, e chi può deve attivarsi perché la verità comunque emerga. Il silenzio ci dice soltanto che sono in troppi a non volere che si sappia.

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