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Pompeo elogia l’Italia. Il rimpatrio del foreign fighter è un esempio per tutti

Forse è stata sottovalutata in Italia l’importanza dell’arresto e dell’estradizione del foreign fighter italo-marocchino Samir Bougana, 25 anni, arrestato dalla Digos di Brescia in Siria alla fine di giugno al termine di un’inchiesta della procura di Brescia iniziata nel 2015. Bougana nei mesi precedenti aveva dichiarato pubblicamente di voler tornare dopo essere partito per i teatri di guerra nel 2013 dalla Germania, dove si era trasferito dopo aver vissuto in Italia fino ai 16 anni. Un’operazione della Polizia di prevenzione alla quale hanno collaborato l’Aise, la Farnesina e l’Fbi che aveva tenuto i contatti con i curdo-siriani ai quali Bougana si era arreso nell’agosto 2018.

GLI ELOGI DI MIKE POMPEO

La decisione italiana di rimpatriare il combattente è stata elogiata oggi dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo: gli Stati Uniti, ha detto, “elogiano il governo italiano per il rimpatrio di un terrorista straniero italiano dalla Siria” e ritengono che “con questo rimpatrio l’Italia abbia fornito un importante esempio a tutti i membri della coalizione globale e della comunità internazionale su come dobbiamo lavorare insieme per affrontare la questione dei militanti stranieri che hanno viaggiato per combattere con l’Isis”. Pompeo spera che anche altre nazioni europee “seguano l’esempio italiano e si prendano la responsabilità per i loro cittadini in Siria”. L’Italia per il segretario di Stato è “un partner chiave della coalizione globale per sconfiggere l’Isis”.

LA STRATEGIA ITALIANA

La scelta italiana è stata facilitata dal numero estremamente basso di combattenti legati al nostro Paese e prigionieri delle forze curdo-siriane, ormai forse un paio, mentre è oggettivamente più difficile la situazione dei francesi, per esempio, che ne hanno decine. Ma il ragionamento fatto ai vertici dell’antiterrorismo è più raffinato: l’arresto di Bougana significa che l’Italia trasmette un segnale chiaro agli alleati; quindi che si dà prova di uno Stato di diritto che punisce i propri cittadini secondo regole democratiche mentre i combattenti prigionieri in Siria o in Iraq rischiano seriamente la pena capitale e possiamo immaginare quale polemica sarebbe nata se questa eventualità avesse riguardato un individuo con cittadinanza italiana: all’inizio di giugno erano 11 i cittadini francesi condannati a morte; infine, un combattente che ha vissuto in quelle aree per anni ha certamente informazioni che potrebbero essere utilissime all’antiterrorismo di diversi Paesi occidentali.

LA SORTE DEI COMBATTENTI E DELLE LORO FAMIGLIE

Il tema della sorte dei foreign fighter e dei loro familiari detenuti dalle Sdf, le Syrian Democratic Forces, è discusso da molto tempo e l’ennesimo sollecito ad assumere una decisione è venuto pochi giorni fa dal Soufan Center di New York. Sarebbero circa 800 persone tra cui donne e bambini che secondo recenti report soffrirebbero di malnutrizione e di ipotermia nei campi di prigionia. Il 23 giugno il commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, Michelle Bachelet, ha rilanciato l’appello affinché le varie nazioni processino i foreign fighter o li lascino andare perché questa situazione non può durare all’infinito. Dunque, le Sdf non hanno l’autorità per processarli, il trasferimento in Iraq fa rischiare la condanna a morte e lo stallo, sottolinea il Soufan Center, non fa che aumentare il rischio di radicalizzazione e di estremismo. È possibile che nel prossimo autunno le Nazioni unite discuteranno la proposta svedese di un tribunale internazionale sul modello di quelli istituiti in passato per processare i genocidi in Ruanda e nella ex Jugoslavia. Il think tank americano sintetizza la situazione in questo modo: così come l’Europa è stata leader nello sconfiggere l’Isis sul terreno, lo sia altrettanto nel riaccogliere i combattenti eliminando un grave rischio di estremismo. L’esempio dell’Italia può insegnare molto.

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