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Finanziamenti russi, spunta l’audio che inchioda la Lega (secondo Buzzfeed)

Il sito di notizie BuzzFeed pubblica a firma del giornalista italiano Alberto Nardelli una bomba esclusiva sull’Italia: quindici minuti di registrazione audio in cui un collaboratore del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini discute con alcuni cittadini russi di come far arrivare alla Lega svariati milioni di euro con cui finanziare la campagna elettorale per le Europee. È la prima prova documentale sui collegamenti clandestini tra la Lega e la Russia, aspetto che preoccupa sia Roma che Washington, sponda verso cui Salvini s’è ultimamente esposto e che ha aperto con riserve – proprio legate a queste connessioni. Il contesto – collegamenti russi e vergenze su Usa – su un elemento interessante dietro alla domanda: chi ha voluto, adesso, far uscire le registrazioni sulla Lega e su Salvini?

LA RIUNIONE

L’incontro è avvenuto il 18 ottobre dello scorso anno, all’hotel Metropol di Mosca (uno dei luoghi più in vista della città, una business hall di rappresentanza), mentre Salvini era in visita politica (circa istituzionale: ossia, parte dell’agenda era stata tenuta riservata, non comunicata all’ambasciata locale) nella capitale russa. Protagonista per la Lega è Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini e medium che ha facilitato un altro elemento centrale nelle relazioni russe del partito italiano: l’alleanza politica, pubblica, con Russia Unita, la fazione politica creata da Vladimir Putin.

Di quella riunione ne avevano già scritto a febbraio Stefano Vergine e Giovanni Tizian sull’Espresso, Savoini aveva ammesso l’esistenza dell’incontro, ma negato che si fosse parlato di come fare arrivare finanziamenti al partito di Salvini. Ora BuzzFeed ha un audio in cui si sente palesemente il faccendiere discutere di accordi economici – che va ricordato sono al di fuori della legalità: la legge vieta ai partiti italiani di ricevere finanziamenti dall’estero; ai tempi dell’incontro era consentito solo per somme non superiori ai centomila euro, percentuale minima di già che era in trattativa.

IL PIANO COL PETROLIO

Il piano sarebbe stato questo: una società petrolifera russa avrebbe venduto durante quest’anno 3 milioni di tonnellate di carburante all’Eni, parliamo di circa 1,5 miliardi di dollari, e l’affare sarebbe stato condotto tramite una serie di scatole cinesi, compagnie intermediarie che avrebbero applicato via via scontistiche sui prezzi e accumulato i risparmi in una sorta di fondo clandestino con cui foraggiare la Lega. “È molto semplice”, dice uno dei due italiani. “La pianificazione fatta dai nostri ragazzi è che dato uno sconto del 4 per cento, 250 mila [tonnellate] più 250 mila al mese per un anno, possono sostenere una campagna”. Eni ha smentito ogni genere di coinvolgimento direttamente a BuzzFeed, aggiungendo che quella transizione non è mai andata in porto. Il sito non ha informazioni successive: ossia non sa se i soldi siano effettivamente arrivati alla Lega. Savoini ha già smentito al Foglio tutta la storia come “blablabla”, e detto di non aver “mai preso un centesimo”, ma è importante la dimensione politica di quanto successo.

Gli italiani presenti (altri due oltre Savoini: nessuno identificato se non con nomi propri) dicono chiaramente che non vogliono arricchire se stessi con quei soldi: non c’è un fine “professionale, ma è un problema politico”, dicono, “contiamo di sostenere una campagna politica che è di beneficio, direi di reciproco vantaggio, per i due paesi” (ossia Russia e Italia). Savoini conduceva la discussione, spiegava che avrebbe accettato i soldi russi, diceva che su quel meccanismo pensato “dobbiamo essere un compartimento stagno”. Ossia tutto doveva rimanere segretissimo. I tre leghisti dicevano agli interlocutori russi (nemmeno questi identificati, per il momento, e anche sulla loro identità pesa la domanda iniziale: chi ha fatto uscire l’audio?), che Salvini avrebbe stravinto le elezioni europee in Italia e per tale ragione valeva la pena investire su di lui. “Vogliamo cambiare l’Europa”, assicuravano che la Lega avrebbe creato un gruppo politico corposo a Bruxelles, per essere più “close to Russia” (parlava in inglese) e “pro-Russia”, insieme a vari “alleati”.

GLI AMICI DI SALVINI

Savoini ne cita vari, tra questi il tedesco AfD e il francese Rassemblement National. Entrambi sono partiti che hanno collegamenti con Mosca (i lepenisti, ai tempi in cui si chiamavano ancora Front National, finirono invischiati una storia di finanziamento dalla Russia quando ottennero 11 milioni di euro da una banca russa; normale prestito è la difesa dei dirigenti di FN contro l’accuse di finanziamento illecito). Però sono i russi stessi che in quell’incontro con Savoini definiscono Salvini “il Trump europeo”, testimonianza che in questo momento viene considerato il cavallo su cui puntare (e forse non solo da Mosca).

I russi nell’audio dicono tuttavia di non aver la libertà di concludere l’accordo, ma spiegano che le cose stanno andando per la gusta direzione. Annunciano che racconteranno tutto ai loro superiori, e nominano Vladimir Pligin, top dirigente del partito Russia Unita, e poi un viceministro. Persone con cui lo stesso Salvini si sarebbe visto durante i giorni moscoviti di ottobre 2018. Vine citato anche un “incontro di ieri”. Quello dello scorso anno era uno dei tanti viaggi a Mosca – circa una decina dal dicembre del 2013, quando è diventato segretario della Lega. Spesso queste visita sono personali e lasciano spazi aperti all’agenda dell’attuale ministro dell’Interno e vice premier italiano.

Altrettanto spesso Savoini – business, presidente dell’associazione Lombardia Russia – è stato con lui, un accompagnatore discreto (senza ruoli nel governo o nel partito) presente anche alla cena con Putin la scorsa settimana a Roma. A settembre dello scorso anno, un’altra inchiesta di BuzzFeed ha riguardato Savoini: esaminando documenti della Procura di Genova, i giornalisti del sito americano avvevano scoperto contatti dell’uomo di Salvini con persone accusate dai magistrati italiani di reclutare e finanziare elementi di estrema destra da inviare nella regione del Donbass, in Ucraina orientale, dove Kiev combatte la guerra contro i separatisti filorussi.

 


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