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Intesa tra Usaid e Sant’Egidio. Al centro Africa sub-sahariana, Medio Oriente e libertà religiosa

Non è stata una formalità la firma a Washington del protocollo d’intesa tra Usaid e Comunità di Sant’Egidio. Il gigante della cooperazione internazionale americana guarda a Sant’Egidio come uno dei riferimenti che possono aiutare a migliorare la propria percezione delle diverse realtà che si intrecciano in un mondo dove le disparità, le emergenze, le sfide, ma anche le potenzialità sono in continua evoluzione. Mauro Garofalo, responsabile dell’area internazionale della Comunità di Sant’Egidio, appena rientrato dagli Stati Uniti, indica nella libertà religiosa, nella tutela delle minoranze e in precise aree geografiche, l’Africa subsahariana con perno sul Centrafrica e il Medio Oriente con perno sull’Iraq, i campi dove i progetti di Sant’Egidio possono trovare più rapidamente e concretamente interesse e sostegno da parte da Usaid. Basta ricordare che proprio l’attenzione a queste tematiche ha portato l’amministrazione americana a creare due posizioni di “special envoy”, quello per la libertà religiosa e quello per l’antisemitismo.

C’è evidentemente soprattutto l’attenzione politica del vice presidente Mike Pence tra ciò che ha consentito questo sviluppo dalle rilevanti prospettive, anche per l’importanza che uno sguardo interno al mondo delle religioni può avere nell’aiutare un’azione statale a far convergere rispetto, dialogo e valori. In questa prospettiva diviene di particolare ed esplicito significato il fatto che alla cerimonia della firma del protocollo d’intesa abbiano preso parte anche l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Callista Gingrich, ed il Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, Christoph Pierre.

Firmata il 15 settembre a Washington, l’intesa potrebbe portare in tempi brevi ad un impegno congiunto nella delicatissima Repubblica Centrafricana, lì cioè dove Papa Francesco ha aperto l’anno santo della misericordia, dichiarando Bangui capitale spirituale dell’umanità. È un dettaglio, certamente, ma di evidente rilievo, non solo per l’impegno del Vaticano e segnatamente dell’Ospedale Bambino Gesù per la distratta sanità del Paese, ma anche perché proprio a Banguì la Comunità di Sant’Egidio ha aperto, nel giugno appena trascorso, un nuovo centro per la cura di malattie croniche infettive dopo quello per la protezione della gravidanza e del parto. Se si considera poi che l’ipotesi di un viaggio di Papa Francesco nell’Iraq, indicato come perno del reciproco impegno in Medio Oriente, è allo studio per il prossimo anno si capisce l’importanza di questa intesa.

Certamente Usaid non diviene l’unico donatore che sosterrà i progetti della Comunità di Sant’Egidio, né Sant’Egidio sarà l’unico partner del colosso americano. Ma in un momento nel quale è urgente che i linguaggi riescano a ritrovare denominatori comuni è importante che il portavoce di Usaid abbia parlato della necessità di espandere la propria base di associazioni-partner, anche con organizzazioni locali e religiose e poi, entrando nello specifico, che serve “trovare aree di interesse condivise in cui lo sforzo collaborativo tra le due organizzazioni possa aiutare a rafforzare i risultati delle rispettive programmazioni e avere, così, un maggiore impatto positivo sulle comunità che servono congiuntamente”.



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