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Solo l’Osservatore Romano si accorge del Venezuela

Aria sinceramente da “ultras” nel nuovo, aria di scarsa attenzione a ciò che non sia il nostro “particulare” nel vecchio. Purtroppo l’impressione che le cose vadano così nel mondo dell’informazione può apparire fondata. E se prendiamo il caso del Venezuela possiamo capire in che senso.

Tra i nuovi soggetti della comunicazione chi si è occupato recentemente del Venezuela lo ha fatto per dar conto di come il nuovo governo greco, di centrodestra, abbia riconosciuto Guaidò come presidente provvisorio a Caracas. Che l’atto richiami l’idea di destre all’assalto del “compagno” Maduro va da sé. Dall’altra parte però non c’è neanche questo. Anche per il Venezuela, per molti “vecchi soggetti”, vale il primato del “particulare”, interrotta dall’esplosione delle albe e dei tramonti. Realtà cruciali, drammatiche e complesse, che decidono di tanto nel nostro mondo, emergono quando c’è un’alba, o un tramonto: le lunghe ore di mezzo tra l’uno e l’altro, molto spesso buie o nuvolose ma decisive, spariscono. Può apparire una lettura un po’ esagerata, ma capitando sulla prima pagina dell’Osservatore Romano se ne può avere conferma.

Il quotidiano della Santa Sede in edicola apre infatti con un titolo sorprendente: “Istituito un tavolo permanente per la soluzione della crisi venezuelana”. Siccome stiamo parlando di uno dei più grandi produttori di petrolio e di un inferno tra i più degradanti per la violenza e assolutezza della sua crisi, è un titolo che sorprende, non per il suo contenuto, ma per la sua solitudine. Istituire un tavolo permanente, è certo, non equivale ad avviare a soluzione una crisi; ma certo è un passo non irrilevante, che merita almeno di essere segnalato. Perché vuol dire che a risolvere un problema, anziché ad aggravarlo, qualcuno ci sta lavorando.

I negoziati tra i contendenti sin qui si sono svolti alle Barbados sotto gli auspici della Norvegia, Paese che si è occupato nella sua storia diplomatica di altre gravissime crisi, difficilissime mediazioni. Ora quel tavolo negoziale lavorerà in modo “continuo e veloce”. Per tutelare lo sviluppo della difficile ricerca di un punto di incontro il mediatore norvegese ha chiesto valle parti di essere “caute” nel commentare l’annuncio. E così è stato. Maduro ha fatto sapere che il negoziato verte su sei punti convenuti tra le parti, mentre l’opposizione ha annunciato consultazioni con i propri sostenitori. Una nota di colore merita il fatto che il comunicato degli oppositori di Maduro è firmato da un loro rappresentante il cui nome proprio è Stalin Gonzalez. Magari avrà una sessantina d’anni suonati, visto che Stalin fu popolare in certi ambienti soprattutto negli anni ‘50, prima che un certo Nikita Kruscev al 20esimo congresso del PCUS avviasse la destalinizzazione…

L’Osservatore Romano dà ovviamente risalto alla dichiarazione della Conferenza Episcopale Venezuelana, che oggettivamente contiene un passaggio rilevante: i vescovi auspicano elezioni imparziali e libere, dopo una previa “cessazione dell’assemblea costituente”. Di questa assemblea costituente è bene sapere che nessuno sa quanti venezuelani abbiano partecipato a votarla: 9 milioni secondo il governo, 2 milioni secondo le opposizioni, sette milioni secondo la SmartMatic, società che ha gestito il voto elettronico. Inoltre questa ridicola “assemblea costituente” è stata eletta per esautorare il Parlamento con un sistema “elettorale” che non ha precedenti: ad esempio ampia fetta di essa è scelta con il sistema municipale, per cui un piccolo centro (epicentro del consenso di Maduro) ha un eletto come un grande centro.

I vescovi inoltre, si legge nell’articolo, hanno rivolto un appello alle autorità affinché provvedano alla distribuzione di alimenti e medicinali, permettendo la partecipazione e supervisione di organismi internazionale. Che questa notizia risulti meno importante, agli occhi di alcuni “nuovi comunicatori”, della scelta di riconoscere Guaidò da parte del nuovo governo greco onestamente dovrebbe sorprendere. C’è infine un dato che va contro la tendenza globale e che quindi merita di essere sottolineato: i Paesi confinanti con il Venezuela non chiudono i propri confini, ma accolgono i profughi dal disastrato paese ancora in mano a Maduro.



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