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Noi italiani, sudditi dello Stato e inclini al piagnisteo. Parla Sileoni

“Uno Stato padrone e guidato dalla benevolenza del decisore pubblico, a cui sono appese le nostre libertà private e finanche le nostre attività economiche”. Spiega così a Formiche.net Serena Sileoni, vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni ed editorialista del quotidiano Il Mattino, il senso del suo pamphlet “NOI E LO STATO Siamo ancora sudditi?” (IBL Libri 2019), di fatto il sequel di Sudditi scritto da Nicola Rossi. Un lavoro composto con vari originali contributi, come quello sull’inversione dell’onere della prova in materia tributaria, che dà la cifra di come l’Italia e gli italiani siano sovente ostaggio dello Stato e non suoi figli.

Tracotanza e arbitrio del potere pubblico: perché il trattamento riservato a giustizia, imprenditorialità e proprietà può essere una zavorra per i cittadini italiani?

Perché sono gli ambiti in cui è più facile, quasi per natura, che si renda manifesta la mano dello Stato. La giustizia è quell’ambito che manda le persone in carcere, che prima di avere ragione consente a un giudice di mettere i sigilli ai beni di proprietà. Va ricordato che la proprietà è quella cosa che lo Stato può espropriare anche senza dover seguire la procedura richiesta dal diritto amministrativo. Per cui quei tre settori sono davvero la spia di un decisore pubblico dove tutto è appeso alla sua benevolenza, altrimenti egli ha per sua costituzione e per diritto dei poteri che ci possono privare della nostra libertà e anche delle nostre attività economiche.

Sudditi e cittadini: questa la differenza tra la stanca Italia e modelli più sviluppati?

Sì. Credo che la cittadinanza sia proprio questa: un quotidiano nostro sforzo di responsabilità che ci consenta di guadagnarci la nostra libertà. Quelle comunità che riescono di più a fare questo esercizio di responsabilità, la precondizione per poter rivendicare la libertà dal sovrano, evidentemente sono un po’ più mature di noi. Come italiani penso che siamo culturalmente molto indietro, perché inclini ad una mentalità da piagnisteo.

Susanna Tamaro nell’insolita veste di agricoltore racconta, come in un vero trattato di economia rurale, tutte le contraddizioni burocratiche sul rapporto con ambiente e terra: è questo uno degli aspetti forse più sottovalutati, mentre si straparla di made in Italy ed eccellenze?

È uno dei settori che ci aiutano a capire, anche grazie alla straordinaria penna della Tamaro, un passaggio complicatissimo da cogliere come lo strabismo di Stato che con una mano ti offre qualcosa e con l’altra poi te la toglie. Il caso dell’agricoltura si somma ad altri casi. Penso al trattamento dei vizi, un altro tipico fenomeno di sudditanza intesa come meta paternalismo. I vizi sono da un lato condannati, come le bevande alcooliche o troppo dolci, o il fumo, o il gioco d’azzardo, e dall’altro usati dallo Stato per fare cassa. Sono qualcosa da cui lo Stato dice di volerci proteggere, da minorenni quali ci tratta, salvo poi usare quei vizi. Altro caso è la prostituzione che, dal punto di vista del diritto del lavoro, non esiste in quanto attività illecita, ma invece dal punto di vista tributario è un’attività soggetta a tassazione.

Chi mai oserebbe dire che il settore dell’agricoltura non va aiutato?

Nessuno. Ma poi la Tamaro ci racconta che proprio chi annuncia di voler aiutare la piccola impresa agricola poi la zavorra e la stressa con bizze burocratiche, penso alle crociate contro gli ogm.

Insomma, l’Italia e gli italiani vivono in un sistema iperburocratizzato, che spesso dà la colpa alla libera impresa. Come se ne esce?

Negli ultimi anni abbiamo sperimentato molti tentativi di riforma, ma nessuna di esse ha toccato il centro nevralgico della semplificazione: non si tratta di riformare il sistema con, ad esempio, solo la trasmissione degli atti per via telematica. Quella riforma attiene la forma. Occorre prendere di mira il merito: quante cose chiediamo che lo Stato faccia e quanti soldi chiediamo che lo Stato intercetti per poi riutilizzare per la comunità? Ecco il punto. L’alleggerimento della qualità della vita per i cittadini non è un problema di forma ma di forma di Stato. E attiene il rapporto tra Noi e lo Stato.

twitter@FDepalo

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