Le forze armate di Pechino stanno conducendo – e continueranno fino al 2 agosto – delle esercitazioni sul Mar Cinese che avvolgono Taiwan da sudovest e da nord, lungo lo stretto che divide le due Cine, la Repubblica di Cina e la Repubblica popolare cinese (la Cina continentale). Sono stati diffusi dei messaggi di allerta marittima e aerea perché le zone tra le coste delle province di Zhejiang, Fujian e Guangdong saranno interessate dalle manovre militari che arrivano in un momento particolarmente delicato.
La Cina dall’inizio del 2019 ha alzato il livello della retorica su Taiwan, contemporaneamente il Paese è entrato nell’orbita degli interessi americani, che hanno approvato per Formosa due nuovi blocchi di forniture militari. E così Taipei è diventato uno dei punti dolenti attorno a cui si dipanano dinamiche collegate al confronto totale tra Washington e Pechino, con i primi che ne rimarcano l’indipendenza – anche come asset strategico per contenere progetti cinesi, per esempio la Greater Bay Area che include anche Hong Kong, altro dossier del genere – e i cinesi che invece definiscono “inevitabile” la riunificazione dell’isola, come detto dal presidente Xi Jinping a gennaio. La scorsa settimana, il libro bianco della difesa cinese ha rimarcato questa dimensione immutabile per l’isola sottolineando che Pechino “non può giurare” di rinunciare alla forza per riannettere Taiwan. Un linguaggio mai usato nella pubblicazione strategico-militare nelle versioni del 2010 o del 2015.
Ci sono anche le elezioni di mezzo, con le visioni più autonomiste dell’attuale presidente Tsai Ing-wen – una dei primi leader contattati dal presidente americano Donald Trump appena eletto – che stanno aumentando consensi nei sondaggi anche grazie all’eco innescata dalle manifestazioni anti-cinesizzazione che da settimane interessano le vie di Hong Kong. Dossier che si sovrappongono. Taiwan rischia di diventare nei prossimi mesi il centro di una battaglia tra potenze – fatta di retorica, infowar, movimenti muscolari, operazioni segrete. Si voterà nel gennaio 2020, intanto il governo sta stringendo per costruire provvedimenti in grado di combattere le campagne di disinformazioni lanciate dai cosiddetti “media rossi”, pro-Cina.
Ma mentre queste attività di guerra informativa e cyber sono difficilmente riconducibili, perché spesso arrivano da siti e account registrati a Singapore, i movimenti militari sono palesi. Una dimostrazione di forza che dovrebbe piegare gli animi degli abitanti di Taiwan contrari alla “One China”, la policy della Cina unica, ossia della riannessione di Taipei, e scoraggiarne le scelte al momento del voto. La scorsa settimana l’Esercito popolare ha pubblicato una foto sul suo account ufficiale in cui si vede un J-20, caccia stealth di Quinta generazione teoricamente in grado di competere col modernissimo F-35 (ma ancora non lo è, ndr), dispiegato come unità di prima linea sotto la gestione del Comando del teatro orientale, il quadrante militare che gestisce le attività militari della regione affacciata sul Mar Cinese e comprendente tra le altre cose Taiwan.
Il J-20 non è ancora completamente operativo, per questo il dispiegamento in quell’area è di interesse, anche perché ha pure il compito di inviare un messaggio a Washington e Giappone, che sono i due principali attori militari nell’area – la scorsa settimana, appena dopo la pubblicazione del documento strategico della difesa cinese, la Settimana Flotta ha inviato l’incrociatore lanciamissili Uss Antietam, di stanza a Yokosuka, a compiere una delle attività di libera navigazione (Fonop per acronimo tecnico) lungo lo Stretto di Taiwan.
Il J-20 potrebbe controbilanciare la presenza nippo-americana nella regione, e come ha spiegato il capo delle forze aree americane nel Pacifico a maggio segnerebbe un aumento di forza per la Cina. La scorsa settimana, due navi della guardia costiera cinese hanno sconfinato brevemente in acque giapponesi (per la prima volta dal 2017) nella zona di Capo Tappi, sullo stretto di Tsugaru che divide l’isola di Hokkaido da quella di Honshu. Le navi cinesi passavano in quella zona super strategica che divide le due principali isole del Giappone sotto la protezione legale della libera navigazione, la stessa che americani e alleati usano per solcare le acque del Mar Cinese o dello Stretto di Taiwan. Sembra inutile aggiungere che in realtà si tratti di attività di disturbo.