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Pronti raid aerei su Tripoli: la vendetta di Haftar potrebbe diventare un bagno di sangue

Il signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, minaccia “forti e decisivi raid aerei su postazioni selezionate” a Tripoli. L’annuncio, fatto dal capo della Sala operativa dell’Aviazione del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), la milizia di cui Haftar è comandante generale, rimbalza sui siti libici della propaganda dell’Est e sale fino in Italia, che è sempre al centro del dossier (oggi il premier tripolino Fayez Serraj era a Milano, la scorsa settimana alla Farnesina c’era il rappresentante speciale dell’Onu).

L’autoproclamato Feldmaresciallo è nella fase più critica della campagna su Tripoli, lanciata il 4 aprile nel tentativo di rovesciare il governo sponsorizzato dall’Onu e intestarsi la guida del paese come futuro rais. I suoi sponsor esterni sono in difficoltà tecnica: la sofferenza sul campo militare si porta dietro l’incertezza per sul futuro politico. Haftar aveva promesso per primo ai suoi uomini, poi a sponsor esterni come Egitto ed Emirati Arabi, che avrebbe preso la capitale in poche ore, una passeggiata trionfante, che però non si è mai verificata.

Tre mesi di stallo militare in una guerra civile di posizione che ha prodotto già oltre 700 morti. Le fanfare su prossimi raid aerei (che rischiano di essere una scelta “irresponsabile”, come l’ha definita l’esponente Pd Piero Fassino, che si porta dietro vittime civili: già successo altre volte) seguono la sconfitta a Gharyan. La postazione logistica fondamentale che le milizie di Misurata, intervenute per proteggere Tripoli, nei giorni scorsi hanno riconquistato all’Lna. La milizia di Haftar ha i centri di comando distanti centinaia di chilometri da dove combatte in questo momento, e per tale ragione era fondamentale Gharyan, posta su un altopiano appena sotto i monti Nafusa, che è considerato il punto da controllare da chiunque voglia conquistare Tripoli.

Haftar vi aveva piazzato il quartier generale dell’offensiva, ma una mossa a sorpresa dei misuratini ha messo in fuga i suoi stanchi miliziani, e i combattenti della Tripolitania hanno sfondato il fronte ritrovandosi per altro in mano un bottino di guerra, abbandonato durante la fuga scomposta dei nemici, dalle dimensioni imbarazzanti. C’erano armi di fabbricazione americana che gli Stati Uniti hanno venduto agli Emirati Arabi nel 2008 sotto una clausola contrattuale che vietava ad Abu Dhabi di passarli a qualcun altro.

Gli emiratini l’hanno violata e il dipartimento di Stato ha aperto un’inchiesta: è una delle varie prove che l’avanzata di Haftar è spinta da attori esterni. Gli stessi che hanno condotto diversi raid aerei nelle scorse settimane, spesso con risultati scadenti; gli emiratini stanno anche risistemando due basi aeree sul territorio libico, gli aeroporti di al-Maraj e Labraq, e forse non intendono mollare il loro uomo e spingere, adesso che è in netta difficoltà, sull’appoggio militare.

Oggi il Feldmaresciallo ha anche minacciato di chiudere i terminal petroliferi dell’Est, che sono controllati dalle sue milizie tramite accordi con tribù locali. Nelle stesse ore in cui Haftar recitava la sua propaganda, il suo rivale Serraj, premier del governo onusiano, era a Milano per un incontro col vicepremier Matteo Salvini. Serraj sa che la vendetta di Haftar per aver perso Gharyan arriverà, e sarà dura. Per questo chiede sostegno politico e diplomatico all’Italia – mentre per quello militare ha già ottenuto appoggi da parte di Turchia e Qatar, perché quella che si combatte in Libia è sempre più una guerra proxy tra attori esterni in competizione all’interno del mondo islamico sunnita (l’altro ieri Haftar ha definito gli interessi turchi in Libia tra gli obiettivi dell’Lna).

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